La biografia di St. Urbain Street

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LEZIONI DI ARCHITETTURA 3

Presenza singolare all’interno dell’opera narrativa di Mordecai Richler (autore, tra gli altri, di La versione di Barney), The Street ha per protagonista la strada del titolo: St. Urbain Street (o Rue Saint-Urbain) a Montreal, Canada.

Scritto con l’ironia e la sagacia consuete, il libro racconta la St. Urbain Street dell’infanzia e della gioventù di Richler: la propria strada osservata da un personale punto di vista, corrispondente però alla strada nella sua dimensione più reale e più piena; strada fatta di presenze “immobili” (edifici, arredo urbano) ma anche – e in misura addirittura maggiore – di presenze mobili: le persone che la abitano e la animano.

Proprio in ciò consiste l’insegnamento del libro di Richler: a dispetto della loro apparente transitorietà, queste ultime costituiscono – al pari delle architetture – dei veri e propri personaggi “fissi” della strada, soltanto un profondo conoscitore della cui vita può dunque aspirare a scriverne la biografia.

Mordecai Richler in St. Urbain Street intorno al 1970.x

Da The Street (1969) di Mordecai Richler

«St. Urbain era una delle cinque strade di un ghetto d’impronta proletaria tra la Main e Park Avenue.

A un passante della classe media le cinque strade, è vero, sarebbero sembrate intercambiabili. A ogni angolo una tabaccheria, un alimentari e un fruttivendolo. Scale esterne dappertutto. Scale a chiocciola, scale di legno, scale arrugginite e pericolose. Un’infinita ripetizione di bei balconi scalcinati, interrotta qua e là dal vuoto di una discarica. Ma, come noi ragazzi sapevamo, ogni strada tra la Main e Park Avenue rappresentava sottili differenze di reddito. Non c’erano due appartamenti popolari uguali, e neppure due negozi. Frutta Scelta imbrogliava sul peso, ma Smiley non faceva credito.

Delle cinque strade St. Urbain era la migliore. Gli abitanti delle vie di sotto, sfiatati, debitori cronici, yente [pettegoli], pidocchiosi, inquilini morosi, goniff [furfanti] della Galizia, non potevano permettersi una giornata in campagna né frutta in scatola per dessert nelle grandi festività. A Pesakh [Pasqua ebraica] accettavano pacchi dalle dame di carità di Outremont, e andavano non invitati a bar mitsvah [festa di iniziazione] e matrimoni per portar via dolcetti, bottiglie e cosce di pollo. Il loro inglese era meno buono del nostro. Insomma, non erano ancora canadesi. Pivellini, ecco cos’erano. Nelle strade di sopra c’erano gli ambiziosi. I maneggioni. I pisherke [piscioni].

Tra le meraviglie di St. Urbain, la nostra St. Urbain, c’era un uomo candidatosi ad assessore con una piattaforma monotematica: gli agenti della stradale erano antisemiti. C’era una prostituta semiprofessionale, Yetta la Strabica, e uno storpio di talento, Pomerantz, che aveva pubblicato una poesia in “Transition” prima di avvizzirsi e morire all’età di ventisette anni. C’erano due uomini che avevano contribuito con i Mackenzie-Pap nella guerra civile spagnola e una ragazza che aveva incontrato Danny Kaye nei monti Catskill. Un ragazzo, di cui nessuno si ricordava, che era diventato professore al MIT. Dicky Rubin che aveva sposato una shikse [donna non ebrea] nella Chiesa unitariana. Un pugile titolare di una rubrica nella rivista “Ring”. Lazar di Frutta Scelta che aveva rimediato duemilacinquecento dollari per essere stato travolto da un tram della linea 43. Larry, nipote di Herscovitch, incarcerato per aver ceduto segreti militari alla Russia. Una donna che si autodefiniva una divorcée. Un uomo, padre di A.D., che averlo in casa portava sfortuna. E altre, molte altre.

St. Urbain era abbastanza simile, suppongo, alle vie-ghetto di New York e Chicago.  C’erano, però, alcune differenze cruciali. Noi eravamo canadesi, quindi avevamo un re. Avevamo altresì nel quartiere dei pea-soup, ossia dei franco-canadesi. Il re a St. Urbain non era mai venuto, ma era passato qualche strada più su nella sua visita in Canada alla vigilia della guerra. Noi ci fecero uscire da scuola per acclamarlo, nella prima vacanza extra che io ricordi da quando Buster Crabbe, il Tarzan dell’epoca, ci aveva parlato nella Giornata della Gioventù canadese».x

(Mordecai Richler, Le meraviglie di St. Urbain Street, trad. it. di Franco Salvatorelli, Adelphi, Milano 2008)x

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