La Los Angeles di Reyner Banham

978880619741graA dispetto dei quasi quattro decenni che lo separano dalla sua prima pubblicazione, questo libro sulla città di Los Angeles conserva tuttora una straordinaria attualità. Precedente di un anno Learning from Las Vegas di Venturi, Scott Brown e Izenour, il pionieristico studio di Banham non ha tardato a divenire un «classico» della letteratura urbana contemporanea. Cardine della lettura dello storico inglese è il concetto di «ecologia», da intendersi non tanto come semplice «protezione» dell’ambiente quanto piuttosto come prodotto dell’interazione di «geografia, clima, economia, demografia, tecnica e cultura». Le quattro ecologie in cui viene compartito il territorio angeleno sono il sistema delle spiagge («Surfurbia»), le pianure, le colline e le freeways («Autopia»). Ed è dalla diretta esperienza di queste che Banham prende le mosse. Non per nulla i suoi mezzi di osservazione prediletti sono il parabrezza e lo specchietto retrovisore di un’automobile: «Cosí come antiche generazioni di intellettuali inglesi impararono l’italiano per poter leggere Dante in originale, io ho imparato a guidare l’automobile per leggere Los Angeles». La metropoli californiana viene tratteggiata come l’esempio piú fulgido di «radical city», ovvero il luogo dove le possibilità – ma anche i problemi – derivanti dallo sfruttamento delle tecnologie disponibili vengono portati ai loro limiti estremi. Nell’accogliere nel suo libro punti di vista spesso non accademici, cosí come pure materiali difformi, popolari e apparentemente «di scarto», Banham si lascia identificare con Simon Rodia, l’autore delle fantastiche Watts Towers, fatte di cemento, frammenti di ceramica colorata, pezzi di ferro riciclato e filo metallico da imballaggio, ma anche «con il surfer, con il pilota di auto truccate, con il paracadutista ad apertura ritardata e con il subacqueo, cioè con tutti coloro che personificano la tradizione californiana della ricerca privata del satori, realizzata con mezzi meccanici».


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La Los Angeles di Reyner Banham


di Silvia Micheli


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È finalmente in libreria Los Angeles. L’architettura delle quattro ecologie, un libro straordinario per la sua penetrante capacità interpretativa, pubblicato da Reyner Banham nel 1971 e oggi rieditato da Einaudi nella collana PBE, con un’introduzione di Antony Vidler.

Reyner Banham è da annoverarsi tra i più importanti storici e critici dell’architettura del XX secolo. È autore di testi fondamentali come, ad esempio, Theory and Design in the First Machine Age (The Architectural Press, 1967), The architecture of the weel-tempered environment (The Architectural Press, 1969) e Megastructure: urban futures of the recent past (Thames & Hudson, 1976),attraverso i quali ha strutturato un’interpretazione “positiva” dell’architettura contemporanea dettata dalla profonda fiducia nella tecnologia e nel progresso, e ha saputo interpretare acutamente la cosiddetta “cultura della macchina”.

Ma come spiegare la tardiva traduzione italiana dei suoi scritti, imprescindibili per la comprensione della cultura architettonica internazionale, e la loro limitata “fortuna” in Italia? Appare infatti curioso che la traduzione di Theory and design in the first machine age, ad esempio, sia apparsa solo dieci anni dopo la sua pubblicazione e che lo stesso Los Angeles. L’architettura delle quattro ecologie sia stato tradotto dalla casa editrice Costa & Nolan soltanto nel 1983 e abbia dovuto attendere altri trent’anni per la seconda edizione italiana.

Bisogna notare che Mr. Banham ha intrattenuto un rapporto alquanto particolare con la cultura architettonica italiana. Un primo e burrascoso contatto risale all’aprile del 1959, quando Banham pubblicava sulla rivista londinese «Architectural Review» un articolo intitolato Neoliberty. La ritirata italiana dall’architettura moderna. In questo scritto, Banham rilevava la «sconcertante svolta nell’architettura milanese e torinese» degli anni Cinquanta, accusata di «eclettismo storicista», con un rimando non troppo velato alla diretta responsabilità del ruolo giocato dalla rivista «Casabella-continuità» diretta da Ernesto N. Rogers. Le reazioni non tardavano a manifestarsi e nel giugno dello stesso anno, Rogers ribatteva a Banham con un appassionato quanto polemico editoriale dal titolo L’evoluzione dell’architettura. Risposta al custode dei frigidaires, nel quale auspicava che «chi parla di noi e dell’architettura italiana usasse un linguaggio altrettanto rispettoso, non prendesse lucciole per lanterne, non mischiasse le carte in tavola, non si accontentasse di affermazioni improvvisate e, comunque, superficiali e sbrigative». La ferita inferta all’architettura italiana ha stentato a rimarginarsi nell’immediato e l’adombramento della produzione critica del maestro londinese in Italia trova un’ulteriore ragione anche nel pensiero “dominante” di Manfredo Tafuri che, proprio durante gli anni Sessanta, ha strutturato un metodo storico-critico assai distante da quello formulato da Banham e che ha esercitato una profonda influenza nelle scuole italiane d’architettura.

A Marco Biraghi il merito di aver “riscoperto” e “riattualizzato” la portata intellettuale dell’opera di Banham e il suo prezioso “progetto storico”, grazie al recupero delle sue opere principali, la cui assenza nelle librerie italiane si era fatta ormai assillante. Secondo un sistematico “progetto editoriale”, nel 2004 Biraghi cura per i tipi di Electa la raccolta degli scritti più significativi di Banham, intitolata La seconda età della macchina, il cui titolo è mutuato da La prima età della macchina,la cui riedizione viene proposta alla casa editrice milanese Marinotti l’anno successivo. L’antologia offre la possibilità di disporre della traduzione di numerosi articoli scritti da Banham tra il 1958 e il 1988, anno della sua scomparsa. Nel 2006, per Einaudi, sempre Biraghi cura la traduzione di Deserti americani, di cui Banham traccia uno «sconcertante e imprevedibile» quanto stupefacente disegno articolato. Ed eccoci al 2009, con la pubblicazione di Los Angeles. L’architettura delle quattro ecologie. La riedizione del libro, oltre ad arricchire la bibliografia italiana degli scritti di Banham, offre la possibilità di usufruire di una tra le più significative lezioni di analisi della città del Novecento.

Banham visita Los Angeles e vi soggiorna durante gli anniSessanta, quando ancora è considerata una città di confine, il cui carattere è distante dal fascino architettonico e soprattutto dal consolidato assetto culturale di cui brillano le sorelle orientali New York, Boston e Chicago. Il tessuto diffuso della città, la sua architettura percepita come dozzinale, eterogenea per stile ed epoca di costruzione, le mastodontiche infrastrutture che la squarciano e la conseguente negazione dello spazio pubblico sono solo alcuni aspetti per i quali la caotica e disordinata Los Angeles viene considerata priva di interesse architettonico e urbanistico. Eppure proprio per questi motivi Los Angeles offre, a chi la sappia leggere correttamente, un esempio singolare di struttura urbana del XX secolo. Banham non si arresta davanti a questa dimensione nuova, sconosciuta e, operando un’analisi per certi versi accomunabile a quelle effettuate contemporaneamente da Venturi e Sott Brown nella vicina Las Vegas (Learning from Las Vegas, 1972) e, qualche anno più tardi, da Rem Koolhaas su New York (Delirious New York, 1978), definisce un metodo di lettura specifico per la città di Los Angeles. Liberatosi della posizione interpretativa eurocentrica, definisce quattro categorie, cosiddette “ecologie”, che gli permettono di decriptare il sistema urbano angeleno e di svelarne i punti di forza, secondo un pensiero permeato da un’accentuata carica di positivismo, intrinseca al suo autore e alla sua epoca. Egli “scopre” pertanto che quell’architettura dozzinale è in realtà un ricco inventario di Pop architecture; individua nelle autostrade le arterie tanto vitali quanto democratiche di mobilità della città; riscontra che i cittadini si ritrovano lungo il litorale oceanico, differentemente dall’Europa dove tradizionalmente sono la “strada” e la “piazza” a farsi collettori sociali.

Dal 1971 ad oggi Los Angeles ha vissuto un notevole sviluppo che l’ha portata a essere un nodo centrale nel network finanziario e culturale internazionale. Tuttavia l’analisi di Banham è ancora valida, Los Angeles è, e si riconferma, la città delle quattro ecologie. Ma c’è di più, il libro serba anche una lezione magistrale a coloro che vanno argomentando l’idea di “omologazione” delle città contemporanee. «Cosí come antiche generazioni di intellettuali inglesi impararono l’italiano per poter leggere Dante in originale, io ho imparato a guidare l’automobile per leggere Los Angeles» scrive Banham nelle prime pagine del libro, ammettendo la sua disponibilità, tanto rara quanto apprezzabile, a scegliere un metodo di indagine conforme all’oggetto di studio prescelto.

A fronte della recente prolificazione di libri sulla “città” che offrono interpretazioni catastrofiche, tanto da indurre il pubblico a percepire il contesto urbano come inospitale, disumano, addirittura malato, la lezione di Banham pone una questione di ordine metodologico: c’è ancora oggi qualcuno disposto a “leggere Dante in originale”?

(20 ottobre 2009)


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(le immagini qui inserite sono tratte dal documentario realizzato nel 1972, Reyner Banham loves Los Anges, di cui lo stesso Banham è interprete e ideatore)