Progetto di architettura

 

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 «Per progetto s’intende una pratica fondata sull’ideazione di qualcosa a venire, cioè sulla previsione e, soprattutto, sullo sforzo programmatico di elaborare i mezzi e le forme attraverso cui rendere effettiva l’ideazione stessa. Il progetto non è solo l’idea, esso è la messa a fuoco di un apparato di strumenti, di forme e di figure in grado di rendere intelligibile e, dunque, pubblica ed effettiva, l’idea. È l’intelligibilità l’obbiettivo più concreto del progetto perché il suo scopo non è quello di essere una semplice istanza di cambiamento, ma l’istanza di cambiamento che più si vuole potente quanto più si deve concepire come programmaticamente analizzabile.

E’ proprio per questa ragione che il progetto, ancor prima che essere discusso sul piano della sua realizzabilità, oggi si trova a scontrarsi con un potente apparato retorico, o meglio, con un immaginario diffuso (specialmente tra gli intellettuali) che vuole l’idea stessa di intelligibilità -di chiarezza esemplare delle forme- come impossibile se non riduttiva. Contro questo immaginario occorre ricordare non solo che l’idea di progetto è sempre critica della complessità, ma è anche un modo di pensare che procede su due registri complementari e paralleli. Da una parte vi è il registro della complessità, che non deve essere complessità di strumenti e di forme, ma complessità di pensiero, cioè attitudine a problematizzare. Dall’altro vi è il registro della semplicità, che non deve essere riduzione sic et simpliciter della realtà a schemi interpretativi di facile comunicazione, ma semplicità di forme e punti di riferimento sui quali impostare l’azione progettuale. 

È proprio sull’idea di questo doppio registro che deve essere recuperata l’eredità del Moderno per non abbandonarlo ad una interpretazione che ne ha inteso gli esiti come manifestazione di un disegno tecnocratico, deterministico o politicamente reazionario. Per far questo occorre affiancare al progetto della città, un vero e proprio progetto critico, storico e teorico di recupero delle forme in cui si sono manifestati i progetti precedenti. Di questi progetti va messo a fuoco il nesso spesso controverso, ma sempre essenziale, tra forma del progetto -che spesso è forma dell’architettura- e forma politica delle istanze che hanno mosso, ispirato o semplicemente favorito l’attuarsi di questo progetto. Questo nesso non va ricercato nella banale rappresentazione semantica della politica come stile dell’architettura. Categorizzazioni e confronti quali quelli sovente usati dalla critica come architettura democratica vs. architettura reazionaria, architettura progressista vs. architettura storicista, sperimentazione vs. tradizione, sono categorizzazioni non solo inutili ma anche mistificanti. Il nesso tra critica, politica e architettura va ricercato nella possibilità del progetto, cioè nella sfera che è più propria del nostro sapere, che è quella di definire forme e riferimenti che pur nel loro ambito specifico di progetto di architettura contribuiscono a portare avanti la città.» [Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli, Martino Tattara]

16 marzo 2010