Italia 60/70. Una stagione dell’architettura

 

cover-3_pagina_4


 



Italia 60/70. Una stagione dell’architettura


Introduzione




Perché occuparsi dell’architettura degli anni Sessanta e Settanta? E perché poi in Italia? Innanzitutto: nessun intento celebrativo in ciò, nessuna seduzione per un periodo oggi insidiosamente “di moda”. La ricorrenza dei quarant’anni dal Sessantotto, da poco trascorso, da questo punto di vista è puramente casuale. In realtà, l’impegno di GIZMO sul periodo in questione risale assai più indietro nel tempo, e per la precisione al maggio del 2005, allorché abbiamo inaugurato il ciclo di conferenze dal titolo saviniano “Narrate, uomini, la vostra storia”: un ciclo organizzato presso la Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, dedicato all’indagine della cultura e dell’architettura degli anni Sessanta e Settanta, appunto, attraverso le voci di alcuni dei suoi più autorevoli protagonisti italiani. In questo senso, Carlo Aymonino, Andrea Branzi, Guido Canella, Paolo Deganello, Pietro Derossi, Antonio Monestiroli, Paolo Portoghesi, Vittorio Gregotti, Adolfo Natalini, Franco Purini e Daniele Vitale, cui si è aggiunto più tardi Mario Botta, sono stati invitati con l’esplicita richiesta di dare testimonianza della propria esperienza legata a quegli anni, vuoi come giovani architetti, vuoi come intellettuali impegnati nell’approfondimento degli aspetti teorici della disciplina, vuoi in qualità di semplici studenti. (Il contributo di Giorgio Grassi, anch’egli coinvolto nell’iniziativa, è nel frattempo apparso in G. Grassi, Una vita da architetto, Franco Angeli, Milano 2008, e non è dunque compreso nel presente volume).


Benché ovviamente nel caso di tutti i personaggi citati gli “atti” da essi compiuti negli anni successivi siano di gran lunga più significativi e considerevoli di quelli riferiti al periodo Sessanta e Settanta, lo sforzo fatto da GIZMO – generosamente raccolto e fatto proprio dai relatori – è stato quello di concentrare l’attenzione sui nessi interni a tale momento, nel tentativo di mettere a fuoco, oltre al ruolo rivestito da ciascuno di loro, i punti di riferimento culturali più generali, l’ambiente sociale, l’orizzonte politico e universitario, le opere più influenti, i luoghi strategici, i libri più apprezzati, le riviste più lette. Ciò che si è venuto delineando in tal modo – conferenza dopo conferenza – è stato un intreccio di storie, tutte soggettive, aventi in comune tra loro non soltanto il periodo in oggetto ma anche la condivisione in un certo “spirito”, l’appartenenza a una medesima “vicenda”, se non proprio a un’unica generazione. Una sommatoria di differenti punti di vista, privilegiati ma per forza di cose parziali, tutti comunque incentrati su di un medesimo “territorio” del tempo.


Nel riportare il testo integrale delle conferenze (si veda la seconda sezione di questo volume), GIZMO non ha tuttavia considerato in alcun modo esaurito il compito assuntosi nei confronti dell’analisi del periodo affrontato. Troppi libri frutto di semplici – e a volte raffazzonate – trascrizioni di pur alatissime verba destinate a “volare” per lo spazio di un’ora o due s’incontrano quotidianamente in libera uscita sugli scaffali delle librerie; troppi – e troppo facili e poco soddisfacenti, dal nostro punto di vista – per lasciarci sedurre da una simile soluzione. Per questa ragione, a introduzione dei testi delle conferenze, abbiamo posto alcuni saggi incentrati sulle tematiche di maggior interesse individuate in rapporto al periodo trattato: un saggio introduttivo alle relazioni tra politica e architettura; due saggi dedicati rispettivamente alla cultura architettonica italiana e a quella internazionale (nell’ultimo caso, in particolare, alle influenze da questa esercitate sugli architetti italiani); approfondimenti legati alle questioni linguistiche (in special modo ai rapporti tra architettura e semiotica); alla pubblicistica di architettura (libri, collane editoriali e riviste); alla situazione dell’università (con riferimento soprattutto alla Facoltà di Architettura di Milano); alla Triennale di Milano; ai rapporti intercorsi tra architettura e altre arti (letteratura e arti visive) negli anni Sessanta e Settanta. Obiettivo di questi saggi è di fornire al lettore un sia pur parziale e schematico quadro storico, attraverso il quale cercare di oltrepassare i consueti luoghi comuni legati a un’epoca sin troppo spesso fatta oggetto di sguardi superficiali e irrigidita all’interno di triti stereotipi.


L’importanza di un approccio storico, a fianco di quello comprensibilmente più progettuale e operativo proposto dagli architetti qui chiamati a dare il loro contributo, viene rivendicata con forza da GIZMO: per noi la presenza di tale componente è assolutamente essenziale. Alla luce di questa prospettiva abbiamo dedicato la terza sezione del libro a un repertorio iconografico che, almeno nelle nostre intenzioni, al di là di un più ovvio carattere illustrativo o esornativo, aspira ad assumere una vera e propria valenza conoscitiva. Pur senza mirare naturalmente ad alcuna “mitica” – ancorché irrealizzabile – completezza, questa sorta di abaco per immagini include una selezione di progetti e di opere di architettura che con alterne fortune hanno attraversato gli anni Sessanta e Settanta, ma anche le copertine di libri e di riviste del periodo, la cui influenza non si lascia misurare soltanto sul piano dei contenuti specifici, ma anche su quello dell’impatto estetico e grafico. Messe a contatto tra loro e fatte interagire su di un medesimo piano (la stessa contiguità da esse esperita nel contesto della loro epoca), queste immagini rivelano nel complesso qualcosa di più di quanto non mostrino prese singolarmente. Ciò che emerge dall’insieme è una “consanguineità” che tiene uniti materiali di natura diversa: dove la comunanza del “patrimonio genetico”, insieme all’appartenenza al medesimo periodo, sta spesso a dimostrare la discendenza dai medesimi autori, chiamati a rivestire – alternativamente o contemporaneamente – ruoli via via differenti.


Le considerazioni sollevate dalle tre sezioni proposte – pur nella loro evidente difformità – riportano necessariamente alla domanda iniziale: perché l’architettura degli anni Sessanta e Settanta? La necessità di affrontare un periodo ormai sufficientemente distante nel tempo da poter essere storicizzato è di sovente motivata dall’attualità delle questioni che esso propone al tempo presente. Nel caso specifico, gli anni Sessanta e Settanta, ad onta di tutte le rivisitazioni che hanno conosciuto da qualche anno a questa parte, appaiono quanto di più lontano – in termini di “spirito”, di “sensibilità” – rispetto all’oggi. È questa distanza ideale, intrinseca – e non soltanto puramente fattuale – a rendere interessanti gli anni Sessanta e Settanta ai nostri occhi: un’inattualità profonda, che lancia un appello radicale al presente; appello tanto più squillante – paradossalmente – in quanto massime sono le differenze che “accomunano” i due periodi tra loro. Ciò rende ragione della singolare tensione che anima la nostra epoca nei confronti degli anni Sessanta e Settanta; ma aiuta anche a comprendere la superficialità dei recuperi di cui sono stati oggetto tali anni in tempi recenti.


A ciò si connette una questione centrale riguardante l’oggetto stesso del libro: il riconoscimento e la critica dei termini cronologici in esso presi in esame. In antitesi con la sempre più diffusa tendenza contemporanea a suddividere il passato prossimo in “decenni”, ciascuno dei quali inteso come una ben precisa “epoca storica”, stagliata e differenziata da tutte le altre, GIZMO ha assunto il periodo Sessanta e Settanta come un’unità complessa e variegata al suo interno, non statica bensì dotata di una propria unitarietà evolutiva. In questo senso l’arco temporale considerato è qui interpretato come un ciclo all’interno del quale alcuni problemi via via si prospettano, vengono affrontati e trovano soluzioni pur contraddittorie e parziali. Tra l’inizio degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta, da tale punto di vista, non vi è alcuna semplice continuità: piuttosto una progressione logica di tematiche e di eventi che, ben lungi dall’essere leggibile come lineare, permette di abbracciare il periodo come un’unica entità. Ed è in questa stessa ottica che – al di là della periodizzazione di comodo in decenni “interi” – l’identità di tale entità si lascia più precisamente riconoscere negli anni che vanno dal 1963 (anno di svolta, in Italia, sotto il profilo della conflittualità sociale e politica) al 1977 (anno del convegno di Bologna, che sancisce di fatto la fine del Movimento studentesco, e in cui il fenomeno del terrorismo raggiunge proporzioni sempre più drammatiche e vistose, sia nel nostro paese che all’estero).


Con ciò si ripropone il quesito concernente l’Italia. Per quale ragione occuparsi di essa, e di essa soltanto? (La presenza del nome di Botta a fianco di quello degli altri dodici architetti non dev’essere intesa come un’“uscita dal seminato” del progetto, bensì come la necessaria estensione alla cultura ticinese di quel carattere di “italianità” che essa indubitabilmente possiede). Di certo, non meri motivi di campanilismo hanno orientato il presente lavoro in tal senso. Piuttosto la convinzione che l’Italia abbia recitato una parte non secondaria – e anzi, sotto diversi aspetti addirittura da protagonista – all’interno del più vasto e multiforme palcoscenico degli anni e Sessanta e Settanta. Ed è proprio in ambito architettonico (oltre che dell’industrial design) che la cultura italiana ha svolto un ruolo di particolare interesse. Al di là di un consistente numero di personalità di rilievo, infatti – nomi destinati a lasciare una traccia indelebile nella storia dell’architettura mondiale del XX secolo –, ciò che caratterizza il panorama dell’architettura italiana degli anni Sessanta e Settanta è l’esistenza di una vera e propria rete di progettisti (cui se ne affianca ed intreccia una altrettanto significativa di teorici e di storici), le opere pur differenti dei quali poggiano tutte innegabilmente sul solido fondamento di uno standard culturale elevato e allargato. Inconfondibile riflesso di ciò è la diffusa qualità che pervade molti prodotti italiani dell’epoca – un alto livello qualitativo che si lascia identificare quasi come un loro marchio di provenienza. Qualcosa di più dell’appartenenza a una “scuola”: semmai, la spontanea adesione al peculiare modo di guardare, di pensare, di progettare, che costituisce il portato forse più significativo dell’Italia degli anni Sessanta e Settanta. Un patrimonio collettivo, non soltanto nel senso di qualcosa che è a disposizione di tutti, ma anche in quello di qualcosa che ha accomunato – lasciandovi un segno profondo – l’opera di molti: protagonisti e comprimari. Non è forse un caso, in tal senso, che l’architettura italiana degli anni Sessanta e Settanta sia l’ultima a essere stata riconosciuta anche all’estero, incontrando una larga diffusione in Europa e nel mondo, l’ultima a essersi tramutata in un fortunato “prodotto da esportazione”. E ciò in grazia assai più della sua capacità di farsi collettivamente volto di un’epoca che non per il contributo offerto dalle pur importanti individualità in essa presenti. Proprio per questa ragione, al titolo Italia 60/70 abbiamo affiancato il sottotitolo Una stagione dell’architettura.


GIZMO




346  347

348   349

350