Spina 4. Locomotiva 3 by Dogma

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di Pier Vittorio Aureli, Martino Tattara in collaborazione con Alice Bulla e Sebastiano Roveroni

1.

Negli ultimi anni la città è stata pensata e costruita con la sua immagine. Con questo progetto proponiamo di costruire non l’immagine ma la forma della città mediante la definizione di una sua possibile grammatica. Per grammatica della città intendiamo lo studio delle regole compositive attraverso le quali è possibile formare uno spazio urbano non banalmente flessibile, bensì comprensibile e allo stesso tempo disponibile all’uso e alla compresenza di diverse attività. Noi crediamo che semplicità e chiarezza siano condizioni fondamentali affinché questo luogo possa diventare non solo un pezzo compiuto di città ma anche uno spazio comune.tav-2-image-def

2.

Il bando relativo al progetto per Spina 4, riconosce il tema dell’infrastruttura e del suo accesso come la questione centrale da affrontare. L’importanza di questo tema non è in discussione, tuttavia crediamo che l’aspetto formale dell’area di Spina 4 non debba essere ridotto a corollario dell’infrastruttura. L’intervento nell’area di Spina 4 deve cioè configurarsi a partire dallo spazio aperto. Di conseguenza, l’architettura che proponiamo non è altro che il limite che dà forma a tale spazio.

3.

L’area denominata spina 4 è caratterizzata da una mancanza di definizione del rapporto fra lo spazio costruito e lo spazio aperto. Quest’ultimo appare come spazio di risulta rispetto alla città. Per questa ragione la prima questione che affrontiamo è quella di definire un limite preciso dello spazio aperto in modo che da tale limite prenda forma il nuovo pezzo di città che si svilupperà in questa area. Proponiamo un percorso coperto lungo 375 metri per ciascun lato che colleghi e renda accessibile tutte le funzioni esistenti e previste per questa area. Le distanze stabilite da questo percorso misurano lo spazio potenziale di questa vasta area dentro la città, la cui vocazione non dovrebbe essere quella di diventare un’ennesima piazza di periferia, bensì un grande giardino di alberi, un avamposto del paesaggio piemontese dentro la città. Questo grande giardino di alberi si pone come limite del costruito ma anche come punto di connessione delle varie parti di città che vi si affacciano.

Il grande carré del percorso coperto rappresenta il principio insediativo a partire dal quale sono impostati tutti i nuovi interventi: la stazione, i parcheggi, lo spazio aperto, le abitazioni e i luoghi del lavoro. Gli alberi, i pilastri del passaggio e del mercato coperto, e i canopi della stazione formano un grande spazio ipostilo sul quale si addossa questo nuovo pezzo di città.

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4.

Sul lato sud del carré proponiamo di concentrare il nuovo costruito. Quest’ultimo è proposto nella forma di torri e ville urbane. Al di sotto delle ville urbane è posto un grande spazio multiuso per il lavoro, il commercio e lo studio direttamente collegato alle residenze. La proposta di giustapporre tipologie antitetiche mira a offrire modi radicalmente alternativi di vivere nella città. Proprio perchè la diversità dei modi di vivere la città costituisce il significato profondo della nostra proposta, pensiamo che l’architettura di queste tipologie debba essere il più possibile astratta, in modo da porsi come sfondo, vale a dire interpretabile nei modi più disparati e imprevedibili.

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5.

Invece che proporre un catalogo di tipologie diverse, proponiamo un sistema aperto delle abitazioni e dei luoghi del lavoro. Noi pensiamo che nei prossimi anni la tipologia tradizionale del lavoro terziario – l’edificio a uffici – sia desinata a ridursi drasticamente o addirittura a scomparire a favore di una relazione sempre più stretta tra luogo dell’abitare e spazio del lavoro. Questa trasformazione riflette il destino stesso della società “post-fordista” nella quale il limite spaziale e temporale che separava il lavoro dal resto della vita è ormai sopraffatto da una relazione sempre più stretta e totalizzante fra lavoro e vita. Oggi il lavoro non è più organizzato entro spazi funzionalmente definiti, ma investe la totalità delle relazioni sociali. Lavoro e produzione si fondano in primo luogo sulla comunicazione, sulla “creatività per forza”, sull’imprenditorialità diffusa, sul lavoro intermittente come condizione strutturale della produzione . La conseguenzdi questo stato di cose è il cambiamento radicale dell’abitare, o meglio di come si abita la città. Non più appartamenti & uffici, ma luoghi abitabili e adattabili al lavoro, o viceversa luoghi di lavoro dove si possa anche vivere. Il nostro progetto accetta criticamente questa condizione del lavoro post-fordista come punto di partenza e la pone a fondamento di una ricerca topologica volta a facilitare nuove forme di coabitazione, co-sharing, e abitazione temporanea.

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6.

Le tredici torri misurano ciascuna 15×15 e sono alte 60 metri. Le torri poggiano su un edificio lineare alto 15 m.  Le torri e l’edificio lineare di base contengono spazi abitabili che possono essere facilmente trasformati in luoghi di lavoro: uffici, atelier, officine. In questo modo è possibile articolare la divisione tra gli spazi abitabili a secondo della necessità. Gli spazi abitabili possono essere appartamenti monofamiliari, monolocali, abitazioni i cui spazi sono aperti e disponibili a nuove forme di condivisione. La sequenza delle torri costituisce un grande edificio lamellare completabile nel tempo. Grazie all’orientamento nord-sud degli appartamenti, gli spazi vuoti possono essere gradualmente riempiti da grandi stanze sospese tra i muri portanti delle torri. Queste stanze possono ospitare spazi del lavoro direttamente accessibili dagli alloggi situati nelle torri.

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7.

Le ville urbane sono spazi abitabili di un piano solo, illuminati da finestre orizzontali, piccole corti aperte sullo spazio domestico. Ciascuna villa si sviluppa attorno a 4 finestre. Ogni villa è dotata di un tetto giardino costituito da una grande stanza a cielo aperto posta sopra allo spazio abitabile. L’interno della villa è pensato come uno spazio riconoscibile e funzionalmente disponibile a molteplici situazioni domestiche.

Le ville urbane poggiano su un grande spazio ipostilo che abbiamo pensato come una grande fabbrica del lavoro cognitivo: un grande spazio multiuso nel quale attività lavorative sono tutt’uno con gli spazi ricreativi, i servizi, i negozi, gli spazi espositivi e le abitazioni poste al piano superiore. L’organizzazione di questo spazio fa riferimento alla natura stessa del lavoro contemporaneo nel quale l’abitante stesso è ormai la forma fondamentale della produzione sociale, e dunque della vera ricchezza della città.

25 ottobre 2010