This Was Really Tomorrow

di Marco Biraghi

Come già affermato in molte altre circostanze, anche sulle pagine di Gizmoweb (https://www.gizmoweb.org/2011/02/james-g-ballard-su-this-is-tomorrow/), la mostra “This is Tomorrow”, inaugurata nell’agosto del 1956 alla Whitechapel Art Gallery di Londra, ha fortemente segnato la sua epoca: l’epoca dell’esplosione della pop art, della fantascienza, della comunicazione, della cultura di massa.

Come noto, la mostra era suddivisa in dodici “sezioni”, ciascuna delle quali curata da una “squadra” (Group) composta da 3 o 4 persone (architetti, artisti, ingegneri, designer, musicisti, critici). Ogni squadra, idealmente “in competizione” con tutte le altre, era invitata a realizzare un allestimento che riflettesse in qualche modo il proprio punto di vista sulla società contemporanea. La “competizione” tra gli allestimenti era finalizzata a richiamare la varietà del mondo reale.

La sezione curata dal Group Eight, composto da due giovani architetti e un artista (James Stirling, Michael Pine e Richard Matthews) presentava alcune bianche “sculture” di gesso e alcune fotografie raffiguranti non meglio identificabili elementi organici e strutture elastiche ad alta tensione superficiale, ovvero bolle di sapone. Le stesse “sculture” riprendevano la forma a “bubble”, con superfici curvate e bucate, simili a quelle di una spugna.

this-is-tomorrow1a

this-is-tomorrow2

Nel catalogo della mostra, accanto alla fotografia di una struttura alveolare e a un disegno a croci e cerchi neri su fondo bianco di Matthews, si può leggere un testo suddiviso in tre parti, ciascuna delle quali redatta probabilmente da uno dei tre responsabili della sezione, ma costituente comunque un discorso unico:

«Perché riempite il vostro edificio con “pezzi” di scultura, quando l’architetto può rendere il suo mezzo espressivo così eccitante che il bisogno di scultura svanirà in fretta e la sua presenza sarà completamente annullata?

La pittura è obsoleta come la cornice del quadro. L’architettura, una delle arti pratiche, ha ridimensionato, insieme con le arti popolari, la posizione dei pittori e degli scultori, ovvero le belle arti.
Il folle egotico bohémien nella sua soffitta finalmente si è lasciato morire di fame.

Se le belle arti non riescono a recuperare la vitalità della ricerca artistica degli anni venti (che attraverso le riviste generò il vocabolario linguistico delle arti pratiche), allora l’artista deve diventare un consulente, proprio come l’ingegnere o il geometra lo sono per l’architetto, anche se la loro relazione con lo specialista, in questo caso – come con l’industrial designer o con il produttore di mobili – sarà più profonda, poiché avrà direttamente a che fare con la concezione dell’opera.

L’Artista sente la perdita di vitalità nell’espressione formale dell’Arte, e si rende conto che il suo lavoro è qualcosa di più della soddisfazione di un’esigenza personale ed emozionale.
Gli elementi della pittura e della scultura hanno già perso il senso della funzione descrittiva o l’indicazione intenzionale di una scala. Possono essere estesi per dimensione, forma o ruolo, e nel processo d’interpretazione questi sono determinati solo dalla sovrapposizione di un dito, di una figura umana o della folla.
Il singolo elemento si estende implicitamente dalla più piccola parte costruita all’Architettura e a tutto l’ambiente senza una chiara demarcazione individuale.

Un senso totale dell’ambiente sarà realizzato solo da persone che lo vogliono esse stesse. Architetti, pittori e scultori possono solo fornire un supporto, sviluppando insieme il loro mezzo espressivo per agire come stimolo a tal fine, e non lavorando in direzione di un vuoto formalismo. Questo mezzo espressivo è già stato sviluppato in pittura e scultura attraverso la scomposizione della forma convenzionale (altrove i moderni musicisti stanno facendo la stessa cosa). Questo tipo di rottura sta per entrare nell’architettura – il muro sta già cominciando a scomparire. Il passo successivo riguarderà il volume dell’edificio, che attualmente si basa sulla geometria strutturale. L’ideale di Schwitters era una cattedrale di legno riempita di ruote – un volume statico interrotto da un sistema dinamico in modo implicito, dal momento che le ruote sono sempre girevoli anche quando non sono in movimento. Infine, l’espressione plastica totale (architettura, pittura, scultura) si troverà nel paesaggio senza composizione fissa, fatto di persone, volumi, elementi – nello stesso modo in cui gli alberi, tutti differenti, tutti in perenne crescita, ognuno ostacolato dall’altro, si unificano in un gruppo integrato».

this-is-tomorrow3

this-is-tomorrow4

Ciò cui il testo si riferisce – nonché ciò cui si riferiscono le “sculture” e le immagini presentate in mostra – è quanto per Stirling, Pine e Matthews rappresenta il “domani”: non un “futuro” puerilmente vagheggiato dal punto di osservazione della metà degli anni cinquanta, com’è nell’evocazione del fantascientifico robot Robbie (eroe del film Forbidden Planet e guest star di “This is Tomorrow”); e neppure un “presente” pessimisticamente proiettato in avanti e rivisitato in chiave post-atomica, com’è nella sezione “Patio & Pavilion” concepita dal Group Six (composto da Eduardo Paolozzi, Alison e Peter Smithson e Nigel Henderson); piuttosto quel “domani” di cui il momento nel quale ci troviamo costituisce l’oggi.

Fino a qualche anno fa il significato di questa “premonizione” risultava imperscrutabile. Oggi invece, osservando la “bubble sculpture” di Stirling, Pine e Matthews, non si può infatti fare a meno di pensare a progetti come quelli più recenti di Toyo Ito (Forum for Music, Dance and Visual Culture, Gent, Belgio, 2004, con Andrea Branzi; Metropolitan Opera House a Taichung, Taiwan, 2006-): edifici la porosità della cui struttura alveolare a doppio ordine di bucature genera un intrico ventricolare che ha come effetti una fluidità dello spazio che sospende la distinzione tra pavimenti e pareti, e una continuità di interno ed esterno che determina la completa eliminazione delle facciate.

toyo3

toyo

Si tratta di una delle punte più avanzate della sperimentazione architettonica attualmente in corso: una sperimentazione che sa mantenersi distante dai facili formalismi cui gli strumenti informatici impiegati per ottenere simili risultati potrebbero indurre. Al contrario, la modellazione grafica grazie alla quale gli edifici di Ito sono oggi possibili si traduce direttamente in una modellazione spaziale che nel suo andamento sinuoso esprime la perfetta corrispondenza di forma e struttura.

Ma osservando la “bubble sculpture” del Group Eight viene pure da chiedersi cosa questa abbia a che fare con l’architettura “futura” di Stirling; un’architettura, quella di Stirling (ad Ham Common, a Leicester, a Cambridge, a Oxford), immersa nella concretezza delle funzioni, e caratterizzata dall’alta capacità di tradurle in spazi – prima ancora che in “forme” – del tutto congruenti ai loro specifici usi. Un’architettura sempre attenta alla storia e per nulla sensibile al “gesto” – e tantomeno al gesto “gratuito”, scultoreo.

L’architettura concepita come bolla è dunque quanto di più distante si possa immaginare da quella di Stirling (in quanto a quella di Pine, la sua partecipazione – negli anni successivi alla mostra – ai programmi del Canada Mortgage and Housing Corporation di Ottawa, fa dubitare che essa possa intrattenere qualsiasi rapporto con la “bubble”).

Ma è proprio da questa distanza che si lascia evincere con precisione la natura della proposta dei componenti del Group Eight: non già la proiezione immediata di sé, bensì la prefigurazione di qualcosa che ai loro occhi appare destinato a compiersi comunque, al di là della propria stessa adesione o presenza. This is Tomorrow.

ito_taichung1

ito-taichung-metropolitan-opera-house

ito_taichung2

28 aprile 2011