Il ponte di Calatrava (o della costituzione)

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di Silvia Giabbanelli

Il ponte che Santiago Calatrava ha disegnato per Venezia connette direttamente piazzale Roma con l’area della stazione ferroviaria di Santa Lucia e costituisce il quarto attraversamento pedonale sul Canal Grande. Secondo l’ex sindaco Massimo Cacciari, principale promotore del progetto, col nuovo ponte si sarebbe risolto uno dei punti a suo dire più critici per la mobilità della città. È vero che è sempre auspicabile collegare le ferrovie con un autosilo e con il capolinea degli autobus, ma in questo caso si sta parlando di una città del tutto particolare. E soprattutto a poca distanza dal luogo in questione si erge già il Ponte degli Scalzi. Utile o meno, l’importante sembra che in un posto o nell’altro Venezia trovi lo spazio per ospitare un progetto che la inserisca tra i protagonisti della contemporaneità[1]. In effetti inizialmente Cacciari aveva pensato a Calatrava come progettista del nuovo ponte dell’Accademia[2].

Per quale motivo allora la scelta della localizzazione ricade su Piazzale Roma? È possibile che la decisione dipenda da alcune operazioni immobiliari che nascondono evidenti interessi economici[3]; è comunque col Piano Regolatore promosso da Cacciari nel 1995 che si parla per la prima volta di un nuovo ponte sul Canal Grande all’altezza di Piazzale Roma. Il piano prevede la riorganizzazione di Piazzale Roma, Tronchetto e Marittima, trasformate in poli intermodali[4] e collegate alla città storica mediante un ponte[5]. È a questo punto che Francesco Dal Co, cogliendo prontamente l’opportunità e conoscendo le capacità di Calatrava, decide di contattarlo per un’ipotesi di progetto[6]. L’architetto approfitta dell’occasione e, con quella che ufficialmente viene indicata come una donazione al Comune di Venezia, pone le basi per un suo successivo incarico prestigioso e ben retribuito[7].

È il 1996, infatti, quando l’allora sindaco Massimo Cacciari accetta la “donazione” del progetto del quarto ponte sul Canal Grande, una struttura in acciaio lunga 94 metri, larga 6 metri alla base e 9 al centro e alta al suo culmine 10 metri. Nel 2002 iniziano i lavori che avrebbero dovuto essere terminati nell’arco di 456 giorni, ovvero nel febbraio del 2004. La data di fine lavori viene posticipata più volte, fino all’11 settembre 2008, quando la struttura viene aperta al pubblico. Per la costruzione del ponte sono quindi stati necessari sei anni, invece che due. Se poi si considera che il progetto era già pronto nel 1996 e che era già stato presentato all’amministrazione comunale nel 1998, si può dire che per realizzare l’opera sono stati impiegati ben dodici anni.

In ogni caso, il nuovo ponte segna una svolta per Venezia, che finalmente, dopo aver rifiutato i grandi dell’architettura del ‘900 (Wright, Le Corbusier e Kahn), può vantare un progetto di un architetto di fama internazionale[8]. Ma mentre i suoi predecessori si confrontavano con la città, il ponte di Calatrava potrebbe trovarsi in qualsiasi posto al mondo. L’unico riferimento locale è l’impiego della pietra d’Istria, applicata però solo come rivestimento del basamento in cemento e persino sostituita dalla trachite sui gradini non previsti in vetro. Inoltre risulta sintomatico il fatto stesso che la posa in opera del ponte sia stata assai problematica e che nel 2007 siano sorti forti dubbi sulla tenuta delle sponde, tali da costringere l’impresa costruttrice a posare dei martinetti per fronteggiare la spinta del ponte sulle rive[9].

struttura

Del resto, queste non sono state le sole debolezze in ambito strutturale: già nel 2003 le dimensioni dello scheletro in acciaio, che doveva essere composto da due esili tralicci ad arco ribassato[10], erano state aumentate (generando anche un notevole incremento dei costi). Viene così alterato quell’effetto di estrema leggerezza che doveva essere proprio del ponte (evidenziato dagli ingannevoli render messi in circolazione) a favore di un risultato decisamente più imponente. Calatrava ha sempre difeso il suo progetto strutturale, tanto che l’inchiesta della Corte dei Conti nel 2007 ne certifica la bontà[12]. Le colpe saranno quindi da attribuire alle imprese costruttrici responsabili della fase esecutiva.

In effetti, la gara d’appalto del 2001 venne indetta nel rispetto della Legge Merloni[13], quindi non tenendo conto della complessità dell’opera, ma favorendo l’impresa Cignoni che presentò il costo più basso (3.867.000 euro, un prezzo addirittura inferiore alla base d’asta di 4.532.000 euro)[14]. A sua volta l’impresa subappaltò tutti i lavori in acciaio ad un’altra ditta con competenze non adeguate alla realizzazione del ponte (la Lorenzon)[15]. L’inesperienza delle due imprese – additata dallo stesso progettista in una lettera inviata alla stampa italiana nel 2007[16] – ha come conseguenza, oltre all’allungamento dei tempi, un notevole aumento dei costi [17], che le ultime stime valutano attorno ai 16 milioni[18]: quasi il quadruplo rispetto alle ipotesi iniziali. Ma a lavori conclusi Cacciari risulta estremamente soddisfatto: «Sfido chiunque a dimostrarmi che si poteva fare con un euro di meno»[19]. È inevitabile domandarsi, a questo punto, se la ditta Cignoni avrebbe vinto la gara dichiarando il costo reale dell’opera.

rialto

Anche il parere di Calatrava è positivo: il ponte è «stupendo», la lavorazione della pietra e del vetro è «un capolavoro»; l’opera è per il suo creatore un punto di incontro, un luogo per osservare (le balaustre sarebbero in vetro per non intralciare lo sguardo), un «tappeto di luce» rischiarato da lampadine poste sotto la scalinata vetrata e lungo il corrimano bronzeo[20]. Peccato che  l’illuminazione prevista non funzioni: non solo è insufficiente, ma è anche pericolosa per i passanti poichè non permette di distinguere i dislivelli, condizione indispensabile visto che si tratta di un ponte di quasi cento gradini.  Per ovviare al problema il ponte viene così illuminato dall’alto con quattro fari – non previsti in fase di progetto – dei quali due posizionati sul palazzo della stazione e altri due dalla parte opposta, su un nuovo palo[21]. Addio tappeto di luce.

gradini

Eppure il ponte di Venezia non è l’unico, tra quelli realizzati da Calatrava,  ad essere dotato di un pavimento in vetro illuminato dal basso: il Sundial Bridge in California del 1996, il Campo Volantin Footbridge realizzato a Bilbao nel 1990 e il Manrique Footbridge in Murcia del 1994 sono alcuni esempi[22]. Il Ponte della Costituzione rappresenta però un’eccezione per il fatto di essere costituito da una gradinata. Probabilmente proprio la mancata considerazione di questo aspetto ha portato l’architetto all’errore.

Per di più, il superamento del ponte è reso difficoltoso dal cambio di passo degli scalini, segnalato da una pedata di dimensione doppia rispetto alle altre, ma dal disegno ingannevole. Ogni gradino è infatti realizzato con una lastra di vetro delimitata da materiale metallico; alla pedata più lunga corrispondono invece due lastre di vetro accostate, che danno l’impressione di giacere su due piani differenti, anzichè di essere parte di un unico scalino. La mancanza di un corrimano centrale (per altro obbligatorio per legge in scalinate di larghezza superiore ai sei metri[23] complica ulteriormente l’attraversamento del ponte, impossibile, invece, per un disabile che non voglia servirsi dell’ovovia che affianca l’opera: soluzione, questa, che non riesce a mettere a tacere le polemiche sollevate da diverse associazioni, in quanto il tempo di attraversamento previsto con questo mezzo può arrivare ai diciassette minuti (contro i due del vaporetto). Del resto era la soluzione migliore per non rovinare l’estetica impeccabile del ponte[24] e per raggirare le diverse leggi a tutela dei disabili[25]. Per Venezia deve essere stato sicuramente meglio chiudere un occhio piuttosto che lasciarsi scappare l’occasione unica di sfoggiare un autentico e “perfetto” Calatrava.

ovovia


[1] Cfr. ANTONIO ALBERTO SEMI, Il ponte e il futuro di Venezia, in «Corriere del Veneto», 14 agosto 2007.

[2] Cfr. FRANCESCO DAL CO, Sotto il ponte di Calatrava non scorre soltanto l’acqua del Canal Grande. Massimo Cacciari risponde a Francesco Dal Co,  in «Casabella», 769, 2008, p.127.

[3] Risulta curioso il fatto che accanto alla stazione si ergano due palazzi di proprietà della società Grandi Stazioni Spa che ospiteranno alcuni negozi a piano terra. La costruzione di un ponte avrebbe reso il complesso appetibile sotto il profilo commerciale, favorendo una maggiore frequentazione dell’area: infatti, ultimato il ponte, il Comune di Venezia ha permesso di aprire gli spazi commerciali attraverso lo strumento dei Piani Particolareggiati (cfr. DANIELA RUSSO, Il secondo Ponte dei Sospiri, in «LiberoReporter», n. 10, 2007).

[4] Il piano indica quali possibili funzioni: esercizi commerciali, grandi magazzini, attività direzionali, attrezzature culturali e centri di ricerca (cfr. LUIGI SCANO, Quale piano per la città storica di Venezia?, giugno 1996). Alcuni tra i progetti più rilevanti sono stati affidati a firme note: lo Studio Valle si sta occupando della trasformazione della Manifattura Tabacchi in nuovo Palazzo di Giustizia, mentre Mauro Galantino sta lavorando alla conversione dell’area ex Deposito Locomotive in parcheggio. Inoltre dall’aprile del 2010 il People Mover, una funicolare su rotaie, collega Tronchetto a Marittima e a Piazzale Roma (cfr. http://www.apmvenezia.com).

[5] Cfr. LEONARDO BENEVOLO, Venezia, il nuovo piano urbanistico, Editori Laterza, Bari 1996.

[6] Cfr. GIACOMO CASUA , Promosso dagli architetti, in «La Nuova Venezia», 13 agosto 2007 e PAOLO NAVARRO DINA, Calatrava, un regalo d’oro, in «Il Gazzettino di Venezia», 13 marzo 2010.

[7] L’architetto avrebbe infatti ricevuto dal Comune di Venezia 336.000 euro (cfr. DANIELA RUSSO, Il secondo Ponte dei Sospiri, in «LiberoReporter», n. 10, 2007 e SERENA SPINAZZI LUCCHESI, «Pronto nel 2005? Era uno spot elettorale», in «Corriere del Veneto», 26 maggio 2007).

[8] Cfr. MARTINA ZAMBON, L’opera di Calatrava e gli architetti, in «Corriere del Veneto», 27 luglio 2007.

[9] Cfr. ROBERTO BIANCHIN, Venezia, troppo pesante il nuovo ponte di Calatrava, in «La Repubblica», 7 maggio 2007.

[10] Tra i ponti di Calatrava, solo tre esempi (oltre a quello di Venezia) sono retti dalla sola struttura sottostante il piano di calpestio, senza tiranti: il Kronprinzen Bridge (Berlino, 1991), il Solferino Footbridge (Parigi, 1992) e il San Paul’s Footbridge (Londra, 1994). (cfr. KENNET FRAMPTON, Calatrava bridges, Birkhauser, Basilea, Boston, Berlino 1996).

[11] Cfr. CLAUDIO PASQUALETTO, Posato sul Canal Grande il ponte di Calatrava, in «Il Sole 24ore», 12 agosto 2007.

[12] Cfr. CONSUELO TERRIN, La Corte dei Conti acquisisce la lettera, in «Corriere del Veneto», 26 maggio 2007.

[13] Cfr. FRANCESCO DAL CO, Sotto il ponte di Calatrava non scorre soltanto l’acqua del Canal Grande. Massimo Cacciari risponde a Francesco Dal Co,  in «Casabella», n. 769, 2008, p.127.

[14] Cfr. DANIELA RUSSO, Il secondo Ponte dei Sospiri, in «LiberoReporter», n. 10, 2007, p. 22. e ALBERTO ZORZI, Calatrava, indagini su appalto e dubbi statici, in «Corriere del Veneto», 5 febbraio 2008.

[15] L’Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici ha contestato la procedura con cui la Cignoni ha affidato tutti i lavori relativi alle saldature delle parti in acciaio alla Lorenzon. Il DL 163 del 2006 prevede che per ogni opera pubblica venga individuata la categoria delle lavorazioni prevalente, che deve essere svolta per non meno del 70% e sulla cui base si bandisce la gara d’appalto. I subappalti non possono quindi essere superiori al 30% dei lavori che qualificano l’opera. Nel caso del quarto ponte sul Canal Grande, la categoria prevalente indicata fu la «OG3» (opere generali: ponti), ma nel corso dei lavori le parti in acciaio hanno rappresentato circa la metà dell’appalto: per questo la Cignoni non fece un contratto di subappalto con la Lorenzon, ma una semplice fornitura (cfr. ALBERTO ZORZI, Calatrava, indagini su appalto e dubbi statici, in «Corriere del Veneto», 5 febbraio 2008).

[16] Cfr. MARTINA ZAMBON, Venezia, la verità dell’architetto sul ponte, in «Corriere del Veneto», 22 maggio 2007.

[17] Ad esempio, i martinetti necessari per evitare lo sprofondamento delle sponde comportano una spesa aggiuntiva di 1 milione e 200 mila euro (cfr.  ROBERTO BIANCHIN, Venezia, troppo pesante il nuovo ponte di Calatrava, in «La Repubblica», 7 maggio 2007).

[18] Cfr. ALBERTO ZORZI, Calatrava, indagini su appalto e dubbi statici, in «Corriere del Veneto», 5 febbraio 2008.

[19] ORSOLA CASAGRANDE, Il mio ponte? E’ anche un luogo di incontro per tutti i cittadini, in «Il Manifesto», 3 settembre 2008.

[20] Cfr. FRANCESCO BOTTAZZO, Calatrava sul ponte: “Un capolavoro”, in «Corriere del Veneto», 2 settembre 2008.

[21] Cfr. FRANCESCO BOTTAZZO, Venezia. Calatrava, quattro fari per non inciampare, in «Corriere del Veneto», 5 luglio 2008.

[22] Cfr. ALEXANDER TZONIS, REBECA CASO DONADEI, Santiago Calatrava: The Bridges, Universe, New York 2005.

[23] Cfr. Art. 7 DPR 503/96.

[24] Cfr. GIAN ANTONIO STELLA, Calatrava e la “faccenda” del ponte, in «Corriere della Sera», 13 maggio 2004.

[25] Per legge, tutte le opere pubbliche di nuova realizzazione devono essere accessibili (DPR 503/96) e un’opera pubblica non accessibile non può essere finanziata (L. 41/86). Secondo la L. 104/92, un’opera pubblica non accessibile in cui “le difformità siano tali da rendere impossibile l’utilizzazione dell’opera” da parte delle persone con disabilità è dichiarata inagibile. L’ipotesi alternativa del vaporetto, inizialmente sostenuta da Calatrava, non può essere considerata, in quanto, secondo il DPR 503/96, è l’opera in sè che deve essere accessibile in quanto spazio, monumento, opera d’arte vissuta dai cittadini. Anche la soluzione del servoscala, ventilata in un primo momento, è da respingere: il servoscala è consentito dalla normativa solo negli interventi di adeguamento e per superare differenze di quota contenute (DM 236/89), inferiori ai 10 metri del ponte veneziano.

6 settembre 2011