The Shard

In occasione delle ormai prossime Olimpiadi di Londra verrà portato a termine The Shard, il nuovo grattacielo progettato da Renzo Piano vicino al London Bridge. Si tratterà (sia pur provvisoriamente, c’è da supporre) del più alto edificio d’Europa: 310 m, 72 piani più il puntale. The Shard in inglese significa “coccio”, “frammento”, ma vuole dire anche “elitra”, l’ala anteriore dei coleotteri.

Si potrebbe lungamente discutere sull’opportunità di costruire un grattacielo di queste dimensioni in un momento di recessione economica. Tuttavia, dall’Empire State Building (1930-31) in avanti, la storia ha dimostrato che nei momenti di recessione la realizzazione di grandi edifici può presentare anche dei “vantaggi”, e finire addirittura col dimostrarsi un volano per l’economia. E in questi casi, comunque, è sempre e soltanto il mercato a poter dire se si tratta di un’operazione giusta o sbagliata.

Si potrebbe lungamente discutere su molti degli aspetti del grattacielo di Renzo Piano: un grattacielo con un cuore di cemento armato e interamente rivestito di vetro; un grattacielo destinato a ospitare, in sequenza crescente, uffici, ristoranti, hotel, residenze e un osservatorio disposto su quattro piani. Ma l’aspetto sul quale – ancora una volta – non si può tacere è quello estetico. Un grattacielo – e questo grattacielo nella fattispecie – è fuor di ogni dubbio un fatto “privato”, nel senso che privati ne sono i finanziatori e i costruttori. Ma quando un edificio raggiunge dimensioni simili – e dimensioni simili in rapporto a quel determinato contesto – diventa automaticamente un “fatto pubblico”. Si carica di una responsabilità. Esiste non soltanto per sé ma anche – e molto – per gli altri, o contro gli altri.

Il principe Carlo sembra abbia dichiarato che The Shard somiglia a una gigantesca saliera. Come quasi sempre in fatto di architettura – materia della quale si vanta a torto di essere un grande esperto – si sbaglia. The Shard è tale e quale a uno shard: che questo significhi “coccio”, “frammento”, o anche “elitra”. Ma per quale ragione si dovrebbe vivere – e vivere meglio, possibilmente – in compagnia di un gigantesco coccio, o di un gigantesco frammento, o di una gigantesca ala di coleottero?

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31 gennaio 2012