Il Topos di Diogene. Renzo Piano per Vitra

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di Imma Forino

Uno strano oggetto iconico si erge su una duna erbosa a Weil am Rhein (Germania): sembra una casa emersa da un mondo fiabesco, dall’elementare profilo e dal tetto aguzzo e così piccola da chiedersi se è destinata a un elfo. Si tratta del recentissimo tassello che Renzo Piano Building Workshop RPBW ha aggiunto alla collezione di architetture che Rolf Fehlbaum, chairman di Vitra, sta componendo da anni nel Vitra Campus.

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All’ironica irriverenza della forma risponde il contraltare di un’impiantistica sofisticata ed ecosostenibile. L’economicità dell’interno (2,4×2,4m, h di colmo 3,2m) è addomesticata dal rivestimento in legno e dalla complessità di attrezzature, affinché una persona (con un ospite di tanto in tanto) possa abitarvi immersa nella natura. Non si tratta nelle intenzioni dei progettisti di una temporary house né di una cabina da spostare dove si desidera, ma del sogno della botte di Diogene di Sinope: il minimo spaziale necessario per stare con se stessi, ormeggiati al suolo, seppure con leggerezza ovvero lasciando appena un’orma.

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Dietro l’apparenza di una perfetta machine à habiter si cela la fantasia ricorrente della «stanza» tutta per sé. La poetica dell’existenz minimun – portata alle estreme conseguenze da Le Corbusier nelle celle del convento de la Tourette e fisicamente sperimentata su di sé nel Cabanon de Vacances a Roquebrune-Cap Martin –,è ricondotta da Piano a un’idea umanistica del rifugio. Eppure, più che lo studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino o quello vasariano di Francesco I a Firenze, è il luogo della solitudo di Petrarca che va ricordato: qui l’apertura di una finestra sulla natura dava la giusta prospettiva del ricongiungersi al mondo, dopo aver attraversato se stessi, mentre nel «Diogene» di RPBW il taglio vetrato sul tetto permette di guardare le stelle, la pioggia, il sole che scandisce il trascorrere delle ore. E ancora, più che il palchetto immaginario dipinto da Antonello da Messina (San Girolamo nello studio, 1475 c.), intorno al quale si organizzava visivamente lo spazio di una cattedrale con al centro un uomo e il suo libro, emerge la stanza pluriattrezzata di Gilles Corrozet (Les Blasons domestique, Paris 1539), in cui rinchiudersi a lavorare quando necessario. Una solitudine creativa e operosa, un’idea accattivante di stare al mondo e forse da riprodurre in serie, nelle intenzioni di Vitra. Sarà per tutti?

12 giugno 2013

 

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Gilles Corrozet, Les Blasons domestique, Paris 1539