Milano caput Italiae

di Giulia Ricci

La tradizione non è altro che la storia di una serie di trasfigurazioni nuove delle cose.
(Massimo Bontempelli, Tradizione, 1934)

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Il Padiglione Italia della 14. Mostra Internazionale di Architettura, curato quest’anno da Cino Zucchi, affronta il tema proposto dal curatore Rem Koolhaas, Absorbing Modernity 1914/2014, attraverso il tema dell’innesto.
Ad aprire il racconto di Zucchi è proprio un innesto: l’Archimbuto, portale e segno collocato direttamente sulla facciata delle Tese delle Vergini, ponendosi a confronto con le Gaggiandre dell’Arsenale veneziano, di attribuzione sansoviniana.

Una sezione introduttiva conduce il visitatore verso i tre nuclei tematici dell’esposizione: Milano come laboratorio del moderno, il paesaggio contemporaneo dell’architettura italiana e l’Expo Milano 2015. Il percorso espositivo si conclude nello spazio esterno con il Nastro delle Vergini. Qui Zucchi recupera la grande scritta metallica del vecchio Padiglione Italia e ne fa il punto di partenza per un nastro, dello stesso metallo dell’Archimbuto, che prende diverse forme snodandosi fra gli alberi del giardino. Il Nastro accoglie quindi fisicamente il visitatore e diventa spazio di sosta, un segno unico che assume usi diversi nel suo dispiegarsi.

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La chiave di lettura, ovvero il concetto stesso di innesto, è fornita nella sezione introduttiva. Il curatore sceglie qui di portare alcuni casi emblematici, progetti e suggestioni che si riferiscono alle più diverse epoche storiche: fra gli altri, la sistemazione di Michelangelo per il Campidoglio, il concorso per il Palazzo del Littorio, la casa alle Zattere di Gardella a Venezia e il museo del Tesoro di San Lorenzo di Albini a Genova.

Zucchi procede nel suo racconto scegliendo di concentrarsi unicamente su Milano, la cui storia viene esposta attraverso vari episodi: come un botanico o un collezionista di farfalle, il curatore si dedica a raccogliere i segni, concreti e mancati, lasciati da tali volontà urbane. Raccolti in “cappelle” monotematiche disposte ai lati del percorso principale, gli episodi spaziano dalla fabbrica del Duomo ai progetti per la sua facciata, dai bombardamenti del 1943 e dalla conseguente ricostruzione fino alla Triennale occupata del 1968. E ancora, il professionismo milanese degli anni cinquanta e sessanta, rappresentato sopra tutti da Luigi Caccia Dominioni e da Asnago e Vender.

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In alcuni di questi casi, il tema dell’innesto non risulta però sufficientemente indagato e la narrazione finisce per risultare didattica. L’affascinata narrazione del curatore – quasi un’ostensione del corpo fisico di Milano – culmina con un’ultima cappella dedicata al tema boccioniano della “città che sale”: una collezione di oggetti minerali – i grattacieli milanesi riprodotti in scala – che rappresentano la città contemporanea che sfida la Madunina.

L’Italia intera è invece rappresentata nella seconda sala, denominata “Un paesaggio contemporaneo”. Viene allestita qui una collezione di 85 architetture odierne, collocate in Italia e altrove, ciascuna delle quali rappresentata da un’unica fotografia, alla quale è affidato il compito di documentare il tema dell’innesto. Tali immagini sono retroilluminate e presentate su piani inclinati di semplici volumi disposti in maniera apparentemente casuale all’interno della sala, una scelta che non facilita la lettura dei progetti. Allestiti nella penombra, questi volumi giocano sul contrasto formale con la geometria delle cappelle della prima sezione.

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La sala dedica inoltre uno spazio ai disegni di architettura attraverso l’esposizione di opere di Carmelo Baglivo, Luca Galofaro, Cherubino Gambardella, Agostino Osio e Beniamino Servino, nonché un video intitolato “Paesaggi abitati” e curato da Studio Azzurro, che raccoglie impressioni in diverse realtà italiane.

La parte dedicata a Expo Milano 2015, sponsor principale del Padiglione Italia, risulta forse la parte più slegata al tema del Padiglione. L’area Expo si inserisce infatti in un contesto che non ha la forza di rendere quest’intervento un “innesto”. Dalle parole dello stesso Zucchi: “Un ‘innesto’ presuppone una ferita dell’organismo ospite, ma anche una profonda conoscenza della sua fisiologia”. Nella stessa sezione, attraverso i progetti di alcuni giovani studi di architettura, si tenta di prefigurare il futuro dell’Expo con “2030 EXPOST. Tracciare futuri possibili”.

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Il Padiglione Italia riporta alla ribalta alcuni dei temi cardine della nostra cultura architettonica, rimettendo a sistema l’esperienza del moderno in Italia e analizzandola in rapporto con la struttura urbana compatta e porosa di Milano. È laddove il nuovo coesiste con la tradizione che l’Italia trova i mezzi specifici per metabolizzare e far propria la lezione moderna, prescindendo dal mero contestualismo.

È quanto emerge dal Padiglione Italia di Cino Zucchi: la ricerca di un’emancipazione dal moderno attraverso progetti che soltanto in alcuni casi si configurano come innesti veri e propri, e altre volte piuttosto come completamenti o montaggi, e in altri casi ancora come aggiustamenti o addizioni. Una ricerca comunque che ha dalla sua la chiarezza e una solida conoscenza della materia trattata. Un buon risultato, nel suo complesso, anche alla luce di quanto erano stati in grado di fare i suoi predecessori.

06_Schizzo_Un giardino ospitale

Venezia, 11 giugno 2014