Il restauro della chiesa di Baranzate

articolo pubblicato nel numero 5/2014 di Archi, rivista bimestrale svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica
sbg architetti – testo Giulio Barazzetta

Il restauro di un involucro degli anni ’50
La chiesa di Baranzate di Mangiarotti, Morassutti e Favini

Foto Giorgio Casali, 1958, Università iuav di Venezia - Archivio Proget ti, Fondo Giorgio Casali
Foto Giorgio Casali, 1958, Università iuav di Venezia – Archivio Progetti, Fondo Giorgio Casali

Le immagini che seguono, comprese fra quelle d’inzio lavori (giugno 2013) e quella della fine del montaggio del rivestimento, (aprile-giugno 2014) mostrano lo stato dei lavori in corso della parrocchia di Nostra Signora della Misericordia di Baranzate. Fra queste le fotografie di Marco Introini hanno accompagnato il tempo del cantiere, ricalcando espressamente i punti di ripresa che appartengono alla tradizione iconografica di questo edificio, per come essa è stata stabilita dal lavoro di Giorgio Casali in stretta collaborazione con Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti durante la sua costruzione. I disegni sono quelli originali del progetto del 1957 che si confrontano con quelli prodotti dal progetto 2006-2008 e dal progetto esecutivo appaltato per il cantiere in corso.
La conclusione del lungo lavoro di progettazione per il restauro e l’adeguamento di questo edificio esemplare dell’architettura italiana contemporanea si avvicina. Opera di Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti e Aldo Favini, fu progettata e costruita tra il 1956 e il 1958, per il programma del cardinal Montini per le nuove chiese della periferia metropolitana milanese, inaugurata l’8 novembre 1958.[1]

Foto Giorgio Casali, 1958, Università iuav di Venezia - Archivio Proget ti, Fondo Giorgio Casali
Foto Giorgio Casali, 1958, Università iuav di Venezia – Archivio Progetti, Fondo Giorgio Casali

La chiesa, un volume prismatico rivestito in vetro alto 9 metri a pianta rettangolare di 14 metri per 28 coperto in cemento armato, ha la dimesione di una cappella o un oratorio piuttosto che di una parrocchiale, ed è appoggiata a due metri dal piano di campagna su un rilievo raccordato con il suolo da un pendio erboso.
La chiesa è racchiusa da un recinto che ne delimita lo spazio sacro a pianta rettangolare di 30 per 60 metri, costruito da un curvo muro a scarpa di calcestruzzo e ciottoli a vista. Il recinto porta all’interno le formelle della Via Crucis scolpite da Cosentino che circondano il volume bianco dell’aula liturgica. Varcandone l’unica soglia di fronte alla chiesa ci si trova di fronte due scalinate affiancate, a sinistra una che sale verso l’aula risplendente di vetro bianco, a destra un’altra in discesa verso un ingresso in ombra, a fianco della vasca d’acqua prospiciente il fonte battesimale.
Entrando in chiesa dal basso, come si dovrebbe, dalla penombra degli ambienti seminterrati inferiori si sale attraverso lo scalone interno alla sovrastante luce diafana dell’aula vetrata.

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A. Mangiarotti, B. Morassutti architetti, serie di disegni 1:50 dell’ottobre 1958.
Pianta CSCB 72, sezione trasversale CSCB 73, sezione longitudinale CSCB 74.
Archivio Progetti iuav

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All’interno quattro colonne portano la copertura ricca di rilievo e penombra. Due travi principali, gettate in opera, reggono, incastrate, sei travi longitudinali, la cui ossatura è formata da trenta conci prefabbricati montati e post-tesi. Lo spazio è infine coperto da pannelli prefabbricati appoggiati fra le travi. La struttura della copertura così articolata diviene ordine architettonico che decora le più corte facciate di accesso e retro, mostrando la sezione a «X» delle travi nell’ordine architettonico. La carpenteria metallica leggera del rivestimento complanare alla copertura reggeva pannelli composti da due lastre di vetro rigato resi isolanti da un foglio di polistirene interposto. L’isolante garantiva il carattere dell’involucro rendendo all’esterno abbagliante il volume bianco della chiesa, mentre all’interno diffondeva la luce solare filtrata dalla materia biancastra. La sera l’aula diventava una lanterna diafana che irradia debolmente lo spazio circostante del recinto sacro.
Uno spazio semplicemente straordinario di cui lo stesso Montini ebbe a dire all’inaugurazione: «… scorgo un profondo simbolismo che richiama l’essenza della casa del Signore, questa chiesa di vetro infatti ha un suo linguaggio che può essere ricavato dall’Apocalisse dove è detto: vidi la città santa che discendeva dal cielo, le sue pareti erano cristalli…».

Foto Giorgio Casali, 1958, Università iuav di Venezia - Archivio Progetti, Fondo Giorgio Casali
Foto Giorgio Casali, 1958, Università iuav di Venezia – Archivio Progetti, Fondo Giorgio Casali

Nella «chiesa di vetro» di Baranzate la tecnica della costruzione viene assunta come fondamento dell’architettura, la struttura e la limitazione dello spazio si congiungono nella loro armonica differenza, ingegneria e architettura si intrecciano nell’opera. In questa costruzione la tettonica dell’abrì souverain  si compone con la leggerezza del tamponamento che consiste nella materializzazione della luce. Un tetto animato dal chiaroscuro, sorretto da quattro colonne e racchiuso da un sipario che conforma l’interno in  un luogo immateriale di raccoglimento, transfigurandone lo spazio protetto dal rigore assoluto della struttura. Considerata l’immagine di esordio della prefabbricazione italiana quest’opera illustra le tecniche del cemento armato precompresso e la realizzazione con cura artigianale di un modello di esecuzione interamente predisposto nella progettazione, esemplare preludio alla produzione dello spazio modulare e delle tecniche seriali di montaggio. In realtà si realizza qui un buon esempio di sperimentazione avanzata di una tecnica «mista» che ottimizzi risultati produttivi, comportamenti dei materiali e carattere architettonico nell’ambito della costruzione contemporanea.[2]

Foto Bruno Morassutti e/o Angelo Mangiarotti, 1958, Università iuav di Venezia - Archivio Progetti, Fondo Bruno Morassutti
Foto Bruno Morassutti e/o Angelo Mangiarotti, 1958, Università iuav di Venezia – Archivio Progetti, Fondo Bruno Morassutti

Lo stato della chiesa fino al 2012, prima del cantiere in corso, era il risultato del degrado dei materiali nel tempo e dei cambiamenti imposti dall’uso. Ciò nonostante la parrocchiale di Baranzate è rimasta comunque contrassegnata dal percorso di accesso all’aula dal basamento sottostante, dal contrasto tra l’involucro luminoso opalescente con la penombra di calcestruzzo del seminterrato e infine dal volume della chiesa composto con il recinto che lo contiene. La campagna a nord di Milano degli anni Cinquanta è ora la conurbazione metropolitana milanese, ma proprio il recinto ha conservato il carattere di questo luogo al mutare del circostante.
Il rivestimento originale della cella, demolito da un attentato e sostituito (1980) con una lastra di vetro retinato e una di policarbonato alveolare, con interposto un sottile materassino poliuretanico, era talmente degradato e inadeguato all’uso dell’edificio da non consentire altro che una attenta sostituzione.
L’aspetto del calcestruzzo della copertura all’interno annerito non ha compromesso lo stato della copertura precompressa prefabbricata che è ottimo seppur dilavato anche all’esterno. L’efficienza statica della struttura è stata confermata dal collaudo nel 2002. Buone condizioni di conservazione tali da rendere necessari interventi minimi di lavaggio e il ripristino di pochi punti di affioramento dei ferri nelle due travi principali in c.a. ordinario.
In seguito vi sono state le aggiunte impiantistiche e di arredo anche agli spazi esterni e le richieste di ampliamento e adeguamento della parrocchia. Dagli anni novanta il degrado del rivestimento sollecitava un rinnovamento, che si è avviato fra polemiche sulla inadeguatezza funzionale dell’edificio e il valore dell’opera.

Foto Giulio Barazzetta, 2014
Foto Giulio Barazzetta, 2014

Il vincolo ministeriale (2003) riconoscendo l’importanza artistica della chiesa di Baranzate le ha attribuito un carattere monumentale e ha legato il restauro al progetto degli autori.[3]
Infine per iniziativa di Bruno Morassutti nel 2006 si è formato un gruppo di progettazione composto dai tre autori affiancati da altri progettisti da loro indicati: Giulio Barazzetta con sbg architetti, Anna Mangiarotti e Ingrid Paoletti, Tito Negri, integrati da Giancarlo Chiesa per la progettazione degli impianti.
Si sono così assicurati l’autorialità e il profilo richiesto dal compito per la sua elaborazione durata dal 2006 al 2008, la continuità di progettazione e le competenze architettoniche, tecnologiche, strutturali e impiantistiche.[4]
Questo progetto – che ha l’obbiettivo di ripristinare il complesso architettonico adeguandolo alle esigenze e allo standard di comfort richiesti dalle condizioni d’uso, avendo come riferimento l’edificio inaugurato l’8 novembre 1958 – riflette una situazione particolare che consiste nella «riscrittura» di una stessa opera, necessariamente accoppiato ai termini della «conservazione» di un bene architettonico e dell’adeguamento» di un edificio vissuto dalla comunità parrocchiale come «inutilizzabile» in piena stagione invernale e estiva.[5]
La «riscrittura» degli stessi artefici del medesimo edificio propone la definizione concreta di alcuni termini. In primo luogo la questione del «vero» e del «verosimile » nelle divulgazione di questa come di altre architetture moderne e contemporanee, ma posta in questo caso dalla straodinaria importanza documentaria e iconografica delle fotografie di Casali. Poi la pratica di un «rifacimento» ha posto la questione della «imitazione» dell’originale da riprodurre con diverse tecnologie, ma anche la necessaria distinzione delle parti, dello scarto fra «nuovo» e «originale» laddove vi è modificazione o aggiunta di elementi. A presiedere questo dialogo si è individuato il luogo delle nuove installazioni e dei nuovi elementi costruttivi nel diaframma delle murature e della facciata, negli strati interposti fra le pavimetazioni e la struttura presistente o il terreno. Qui, nello spazio ricavato nel limite fra interno ed esterno, negli strati della materia si trova lo scarto fra vecchio e nuovo. Una interpretazione del termine «restauro» che sta tutto nella differenza «fra» i materiali e «dentro» la costruzione.

Foto Marco Introini
Foto Marco Introini
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Foto Marco Introini
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Foto Marco Introini

Per il rivestimento da sostituire ciò ha significato un attento campionamento per l’individuazione del grado di imitazione, alla ricerca dell’aspetto necessario a evocare il gioco della luce riflessa e rifratta, che si deve bilanciare fra la effettiva possibilità materiale dell’opalescente predisposto dalle stratigrafie e caratteristiche dei vetri e l’assenza della materia isolante da attraversare. Ciò è avvenuto praticando nel progetto l’individuazione delle differenze dei nuovi elementi nel testo originario, per posizione e caratteri per ottenere il più possibile nel restauro la conservazione dei caratteri della chiesa di Baranzate. Un criterio già adottato nel 1985 per il campanile costruito da Morassutti e Favini. È stata la discussione di varie proposte a evidenziare che in questo caso si tratta di non consentire l’adozione di un adeguamento a «tutti i costi» agli standard degli edifici nuovi, per altro non effettivamente necessario stante il vincolo, viste le caratteristiche dell’edificio, le sue necessità d’uso e la normativa particolare per gli edifici di culto. Ciò rischiava di comportare inoltre lo slittamento del carattere dell’edificio verso una costruzione ad alta tecnologia, risultante da un trasferimento integralista e formalista di tecnologie avanzate. Un procedere simile ne avrebbe alterato la forma costruita, ottenuta mediante la composizione di materiali correnti assieme a materiali nuovi, formati in un cantiere artigianale con tecniche fortemente innovative, tratto sostanziale di questa costruzione così rispondente alla sua architettura essenziale.

Foto Marco Introini
Foto Marco Introini, 2014

Note

1. Questo testo rimanda ai testi pubblicati su «Casabella» 721/2004 e in F. Graf, F. Albani (a cura di) Il vetro nell’architettura del XX secolo: conservazione e restauro/Glass in the 20th Century Architecture: Preservation and Restoration. Mendrisio Academy Press-Silvana Editoriale, Mendrisio- Cinisello Balsamo 2011.

2. Considerato dal punto di vista storico esso costituisce di fatto l’esperienza simmetrica al cantiere del Palazzetto dello Sport di Roma, opera di Nervi per le Olimpiadi del 1960, anche se è una architettura analoga, per il gioco di struttura e luce, al palazzo delle esposizioni realizzato pochi anni dopo a Torino, per Italia ’61, dalla stesso Nervi.

3. Il vincolo ha coinciso con la ripresa dell’interesse con studi e pubblicazioni sull’edificio, di cui si segnalano nel 2004 il lavoro di ricerca a Ginevra condotto da Franz Graf con la tesi di dottorato di Cristiana Chiorino e il progetto di Bruno Morassutti con Frank Mayer, docenti e studenti della zhw di Winterthur. Vincolo 13.1.2003 Ministero Beni e Attività Culturali L. 22.04.1941 n°633 e D.L. 03.02.1993 n. 29 […] l’opera (è) rappresentativa di ricerca strutturale e spaziale che sperimenta le più innovative tecniche costruttive dell’epoca, unite alla scelta di un linguaggio formale essenziale e fondato sull’uso della luce, con esito di grande interesse per la definizione dello spazio sacro […] L’edificio si configura come il primo modello di chiesa su cui è stato sperimentato l’uso di strutture in c.a. prefabbricate […] la particolarità risiede nella qualità spaziale generata dalla tecnica costruttiva con cui è stata realizzata la struttura portante […] il valore dell’originale edificio detto anche «chiesa di vetro», è esaltato anche dal contesto entro cui tale opera è inserita: la chiesa sorge rialzata rispetto al piano di campagna ed è circondata da un muro in c.a. rivestito con pietre a vista che delimita la zona sacra. Lungo tale muro è collocata una via crucis di grande suggestione eseguita contemporaneamente alla costruzione e in armonia con essa dallo scultore Cosentino […] negli anni Ottanta è stata aggiunta su progetto degli stessi autori la torre campanaria, realizzata sul fianco destro del prospetto e in posizione distaccata, consistente in una leggera struttura in ferro a pianta quadrata […] e in piena sintonia con il carattere della Chiesa […]

4. Il progetto di restauro autorizzato nel 2008 è stato elaborato come esecutivo nel 2011, appaltato nel 2012. Il cantiere è iniziato nell’estate del 2013 per concludersi nel 2014, con l’obiettivo di una nuova inaugurazione nell’anniversario del prossimo novembre.

5. Quando si è realizzata la rara circostanza della «riscrittura» ha coinciso con la manifestazione di una necessità civile, come è stato per la ricostruzione del Padiglione d’Arte Contemporanea ricostruito da Ignazio Gardella con il figlio Jacopo a Milano nel 1996.

Committente Parrocchia Nostra Signora della Misericordia, Baranzate | Architettura Giulio Barazzetta capogruppo, sbg architetti; Milano | Tecnologia Anna Mangiarotti; Milano, Ingrid Paoletti; Milano | Strutture Tito Negri; Milano | Impianti Giancarlo Chiesa, Milano, Mario Maistrello; Milano | Supervisione al progetto Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti e Aldo Favini | Direzione Lavori Sergio Gianoli, sbg architetti; Milano | Sicurezza Studio Zani; Milano | Direzione di progetto e assistenza Giorgio Corbetta e Giovanni Maggi, ufficio amministrativo dell’Arcidiocesi di Milano | Impresa generale di costruzioni Seregni Costruzioni s.r.l.; Milano | Rivestimento Progetto Ar te Poli s.r.l.; Verona | Supervisione alla costruzione Giulio Barazzetta, Anna Mangiarotti, Tito Negri | Fotografia Giorgio Casali, Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, Marco Introini; Milano, G. Barazzetta e S. Gianoli; Milano

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