Colloquio con Aldo Rossi, intervista del 1983 per Modo

Franco Raggi intervista Aldo Rossi sul Sud America, il design, la caffettiera, il cinema e l’architettura 

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Franco Raggi: Non ti si trova mai, sei sempre in viaggio, questa volta da dove ritorni?

Aldo Rossi: Sono stato in Louisiana, in America, poi in Colombia, che mi ha colpito per la bellezza e per la violenza. Sono stato invitato dall’Università di Las Andes e dalla società degli architetti di Bogotà. Ho anche ricevuto un titolo di cui sono fiero, mi hanno fatto architetto onorario di Bogotà.

Raggi: Cosa significa?

Rossi: Non significa niente. Mi ha colpito moltissimo la Colombia perché è un paese che, pur facendo parte di un sistema culturale latino, conserva una fortissima cultura tradizionale di cui è orgoglioso, l’orgoglio dei conquistadores e degli indios, e una lingua purissima, bellissima.

Raggi: Sei attratto dalle culture in genere non europee?

Rossi: Direi di no: ho una fortissima componente di cultura iberica e poi latino-americana. Mi vanto di essere uno dei pochi italiani che parla lo spagnolo; l’ho studiato per molti anni; ho frequentato molto la Spagna, ho letto molti libri spagnoli; molti critici mi attribuiscono radici tedesche perché so un po’ di tedesco e ho insegnato a Zurigo. In realtà gran parte della mia componente figurativa affonda nella cultura spagnola.

Raggi: Quindi quelli che dicono che affonda nella metafisica italiana, in De Chirico, Sironi…

Rossi: Evidentemente c’è un riflesso, però è filtrato, è stato scoperto a un certo punto.

Raggi: Per te l’architettura è prima un problema di immagine, o di funzionamento di parti, di meccanismi?

Rossi: Ci sono due parti che si possono o non si possono saldare, una è l’ingegneria, l’altra è l’immaginazione, che procedono parallele: se si fondono l’opera è riuscita, oppure possono non fondersi. La stessa ingegneria è una componente assai forte in architettura, dico ingegneria in senso generale, del vecchio Politecnico…

Raggi: Come immagine poetica?

Rossi: No, proprio come costruzione; ad esempio, quando ero professore di caratteri distributivi degli edifici tenevo molto a questa disciplina, che è stata poi, non si sa perché, abolita dal ministero; i caratteri distributivi e la statica sono una componente fondamentale.

Raggi: Quindi è una ingegneria con una immagine più storica che contemporanea.

Rossi: Direi immagine astorica. Una costruzione deve stare in piedi, se guardi uno dei miei disegni meno da ingegnere, quando l’edificio non sta in piedi, è perché decisamente vola, o si è spezzato, non perché è caduto. Mi è difficile immaginare un’architettura non costruibile, credo di poter costruire anche ogni mio schizzo, anche il più apparentemente lontano da ogni immagine di architettura.

Raggi: Nei tuoi schizzi componi in maniera paradossale magari una caffettiera, un modellino d’architettura, il quadro di una santa. Questo voler mettere sulla scena degli oggetti fa parte del tuo progetto di architettura?

Rossi: Diciamo che può essere, da una parte, una esercitazione d’architettura, però eminentemente è una forma del progetto, del mio interesse ormai noto per le caffettiere. La caffettiera è per me un tipo di costruzione: è una cupola sorretta da un cilindro con determinate modanature, più o meno funzionali e decorative, ma è un’architettura precisa.

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Raggi: Facendo del design industriale, scendendo alla scala dell’oggetto d’uso, ti interessa conservare l’immagine dell’oggetto come un fatto costruttivo?

Rossi: Certo, direi che mi ha interessato molto, per fare un esempio preciso, lavorare per Alessi; mi interessava molto studiare una caffettiera che funzionasse. Mi ha portato a un tipo di architettura con la cupola, e questa cupola mi piace vederla tra l’Antonelli e le cupole ottocentesche. In realtà è quella che serve per fare il caffè all’americana.

Raggi: Ma com’è il tuo rapporto con gli oggetti d’uso, come hai vissuto il fenomeno del design italiano? È un rapporto distante?

Rossi: Credo di essere abbastanza ignorante.

Raggi: Avrai però in casa oggetti?

Rossi: Pochi moderni! La mia casa è un insieme di cose trovate, antiche o pseudo antiche con poche cose moderne belle: il frigo, la tv…

Raggi: Che frigo?

Rossi: General Electric, il più bello perché si può prendere il ghiaccio, a cubetti, tritato; mi piace l’efficienza di questi oggetti, i veri apporti del design, della tecnica sono in questi strumenti che cambiano un modo di vivere. È molto bello avere tanto ghiaccio durante l’estate, quando serve…

Raggi: Ti piace un hi-fi, un’automobile?

Rossi: Sì, molto.

Raggi: Questo tipo di efficienza è molto diversa dall’efficienza dell’architettura?

Rossi: L’efficienza in architettura è molto diversa, è il poter vivere in spazi ottimali in case ben costruite, non credo che esistano innovazioni tecnologiche che modificano l’architettura, questo l’ho sempre detto, o ci sono ma sono poche: la luce elettrica, il condizionamento, il frigo, le tecniche costruttive, in modo più lento perché ancora oggi si costruisce in modo tradizionale; le più recenti torri americane sono costruite in pietra.

Raggi: Progettisti come Fuller e gli architetti che fanno questo salto concettuale e linguistico con la tecnologia, non ti interessano?

Rossi: No, dal momento che non si realizzano come pratica corrente, sono sempre esperienze d’avanguardia. Conosco poche esperienze realizzate veramente al di là di un disegno sperimentale.

Raggi: E il Beaubourg?

Rossi: È allusivo, sembra una macchina ma non lo è, è l’ideologia della macchina. Vi sono invece delle costruzioni dove la capacità tecnica di realizzazione è sorprendente. Ho visto di recente il Super Dome di New Orleans, un grande spazio coperto per 120.000 persone: ha una dimensione sconvolgente. Si può dire che è bello o brutto, in realtà la bellezza lì è la dimensione, non tanto la tecnica nuova, credo che sia ferro e cemento armato …

Raggi: Nei tuoi progetti compare spesso la carpenteria metallica, come una citazione dell’uso vecchio di materiali nuovi.

Rossi: Credo che tu ti riferisca ai progetti di Modena e di Chieti dove il tema era ristretto. La copertura di Modena, una capriata tradizionale di tipo industriale, è ottima in ferro per il tipo di costruzione; di fronte a un tema più ampio non esiterei a modificare le tecnologie.

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© Stefano Topuntoli

Raggi: Dovendo fare un grattacielo, penseresti a un grattacielo col cappello, come dice Philip Johnson, o ai grattacieli cristallini?

Rossi: Non mi sono cimentato mai direttamente con un grattacielo; ho partecipato a un concorso a New York dove si progettava una torre per Wall Street. Mi sono elaborato una immagine, ho ancora i disegni …

Raggi: Il grattacielo è la torre moderna?

Rossi: In questo caso era una torre estremamente composita, salendo cambiava, mi interessava il basamento, completamente classico, poi aveva due parti che erano curtain wall, International Style, molto forti, che stringevano un blocco di cemento con finestre quadrate e il «top» (la parte più importante che si può chiamare cappello) era un cono, una ciminiera.

Raggi: Il grattacielo credi che non sia una struttura ripetitiva, ma una struttura per parti?

Rossi: Ogni struttura può essere ripetitiva o per parti, non credo che sia una divisione di Mies van der Rohe …

Raggi: II grattacielo teoricamente è il piano ripetuto all’infinito, poi si ferma e il risultato è una stereometria, dove non si può parlare di basamento, corpo e testa.

Rossi: Una stereometria che può venire mascherata o meno; mi interessa molto qualcosa che sale e salendo modifica se stesso. Ma non modifica la sua immagine, modifica invece l’immagine di una città.

Raggi: Qual è il grattacielo che ti piace di più?

Rossi: L’Empire State Building, so che ci sono patiti per l’Empire o per il Chrysler …

Raggi: Che differenza c’è?

Rossi: È molto forte, nel Chrysler c’è una permanenza di motivi Art Déco, una ricerca formale molto elaborata e direi molto riuscita, mentre l’Empire è un’opera di ingegneria urbana, un’immagine un po’ brutale.

Raggi: Cosa significa la parola progresso in architettura? Cosa intendi quando affermi «il valore progressivo dell’architettura»?

Rossi: L’architettura non progredisce in quanto non vi è progresso. La cupola del Bramante e il grattacielo di Mies sono due belle architetture, in questo senso non vi è progresso, i termini possono essere intercambiabili. Quando parlo di architettura progressiva, un termine usato fin da giovane in senso lukacsiano, voglio dire che ci sono delle architetture che con la loro presenza danno un particolare significato alla città e alla società. Ad esempio le architetture delle città democristiane o social-comuniste dal ’50 ad oggi non sono progressive, non hanno impresso un volto alla città.

Raggi: Qual è per te una città democristiana?

Rossi: Sono riconoscibili i tipi, la nostra Brianza, Treviso, il Centro Direzionale, luoghi dove l’architettura è del tutto insensibile alla rappresentazione; una architettura dove si vive male e che porta alle stesse conclusioni della vita nelle periferie urbane, una impossibilità di vivere, di incontri legati a una mancanza di una immagine e di un luogo.

Raggi: Anche se non è solo l’architettura che ti permette poi questo tipo di socialità.

Rossi: Certamente!

Raggi: L’architettura può risolvere problemi sociali?

Rossi: Sono sempre stato avverso a questa idea, l’architettura non ha niente a che vedere con i problemi sociali; ancora al Politecnico si attaccava l’architettura sovietica, se un asilo aveva le colonne – diceva Bruno Zevi – l’educazione era sbagliata … in Italia non avevamo né asili né colonne … un asilo può essere buono o cattivo sia con le colonne sia con la parete vetrata. Io credo, nonostante le molte critiche, che le mie architetture diano questo presupposto sociale: i bambini delle scuole di Fagnano Olona sono molto contenti, le disegnano, ci si fanno fotografare dentro, hanno l’orgoglio dell’immagine della loro scuola.

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Raggi: Tu vai a rivedere le tue architetture?

Rossi: Non tanto, soprattutto perché sono molto frequentate in modo quasi turistico.

Raggi: Qual è fra i tuoi edifici costruiti quello che ami di più?

Rossi: Credo tutti, i miei edifici sono pochi, ma forse preferisco il piccolo cortile della scuola di Broni. Come progetto preferisco Chieti, non perché sia più bello, ma perché è un progetto gioioso legato a un momento di gioia, alle cabine dell’Elba.

Raggi: Hai scritto recentemente che «La città è vecchia»: cosa vuoi dire?

Rossi: Se vuoi possiamo riportarla al discorso dell’architettura progressiva: credo che sia vecchia l’immagine che noi stiamo fissando della città. Dopo un periodo di distruzioni, le varie città che rappresentano i cambiamenti delle amministrazioni politiche, esiste un tipo di congelamento vecchio dell’immagine della città, … i restauri sono delle sovraintendenze, nulla si può toccare, la periferia non ha speranza eccetera … in questo senso è vecchia la città; invece trovo che la periferia stia diventando sempre più una parte bella, pezzi di periferia anche milanese e romana e di molte altre città hanno una nuova bellezza.

Raggi: Dovuta a cosa?

Rossi: Dovuta alla forza della vita che travolge degli schemi prefissati, che però usa anche l’architettura. Ad esempio a Bogotà città di contrasti, vi sono grattacieli moderni brutti simili a quelli di Caracas, ma con una periferia forte, informe, caotica, molto violenta, con invenzioni architettoniche molto belle fatte da immigrati, da indios, usando degli elementi di architetture anni ’50, anche elementi tradizionali, in un impasto singolarissimo.

Raggi: Raccogli mai queste immagini?

Rossi: No. Io non faccio fotografie.

Raggi: Nel film per la Triennale del 1973 avevi usato la periferia.

Rossi: Ma era una periferia storica, letteraria, la stazione, i treni, i gasometri sironiani, una immagine di Milano autentica tanto quanto la Galleria, i punti meno toccati dove si è consolidato un modo di vivere riconoscibile. Chissà magari adesso la sovraintendenza vincolerà anche la periferia!

Raggi: Tu credi poco all’urbanistica come scienza che dà forma alla città?

Rossi: Ci credo poco, non solo io; oggettivamente l’urbanistica ha avuto una crisi di ridimensionamento. Quando scrivevo il libro «L’architettura della città» contrapponevo un modo di vedere la città in quanto la realtà delle cose imponeva una visione diversa. Anche coloro che oggi si occupano di città parlano di parti, di edifici singoli, non parlo di pianificazione che non è il mio campo, anche se le grandi pianificazioni economiche sono dovunque abbastanza fallimentari. Ma rimanendo nel campo dell’architettura, penso che in fondo il vecchio piano regolatore, vuoi con la puntigliosità di Astengo o con le invenzioni di Samonà, abbia ancora una certa importanza per determinate dimensioni, per organizzare la città legato alle normative … ciò che è poi diventato una questione di ragioneria urbana, burocrazia.

Raggi: Con la scuola che rapporto hai avuto?

Rossi: A me non è mai piaciuta la scuola, né come studente né come docente, però mi ritrovo a cinquant’anni ad andare ancora a scuola! Il periodo del Politecnico è stato il peggiore. Sono stato bocciato due volte all’esame di composizione architettonica, da Forti, mi sono laureato grazie a Portaluppi e all’incontro con Rogers, ma quello poteva avvenire anche fuori dalla scuola.

Raggi: Come senti il rapporto tra architettura e arredamento?

Rossi: È un problema abbastanza recente, come questione in generale esiste ma non mi ha mai riguardato. Invece da qualche anno mi interessa, tanto che al limite mi piacerebbe costruire un interno, lo vedo sempre di più come un interno di architettura non so quanto sia arredamento.

Raggi: Però recentemente hai disegnato mobili?

Rossi: È stata una occasione strana; gli oggetti che mi interessano sono la caffettiera e la «cabina dell’Elba»; sono convinto che sia un ottimo mobile, che serve molto alla casa. È stato costruito un prototipo diverso dall’originale. Spero che qualcuno lo metta in produzione…

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Raggi: Ti piacciono le cabine come architettura temporanea, effimera, legata all’uso del mare, o la cabina come archetipo?

Rossi: Mi interessa molto questa piccola casa, ridotta, dove anche i movimenti dell’uomo sono limitati; questa forma così perfetta ed economica appartiene al mondo delle barche e del mare che io amo molto, si unisce benissimo all’impressione dell’estate; più che l’effimero riguarda ciò che cambia rimanendo se stesso. Quando insegnavo a Pescara mi piaceva guardare bagnini quando alla fine dell’estate cominciavano a smontare le cabine, un pezzo di città sulla spiaggia smobilitava, veniva cancellato. A primavera con quelle cataste si rimontava la città potenziale. Come la Feria di Siviglia, dove ci sono delle casette che vengono rifatte ogni anno, sempre le stesse, ma con qualche variazione, i colori, le bandierine…

Raggi: Perché questa passione per i modellini di architettura, di navi?

Rossi: Potrei darti molte risposte: la prima, per molto tempo non ho potuto costruire architetture e il modello è una forma di rappresentazione, ma il modello ha anche una sua autonomia; a me non piacciono i modelli brutti, trovo volgari i disegni commerciali e ancora più brutti sono i modelli … quelli fatti di perspex o di legni diversi .. scuri, chiari, di vaga matrice scultorea, di perfezione danese-germanica.

Raggi: Ti piace che l’architettura sia ridotta ma conservi la sua immagine, come nei plastici dei trenini elettrici?

Rossi: Quelli sono la cosa più bella. Ma il modello può anche non essere realista: in studio avevamo due modelli dell’edificio di Segrate uno si chiamava Segratino, l’altro Segratone: questo comportava una differenza non solo delle dimensioni, ma anche della qualità, erano due architetture, due oggetti diversi.

Raggi: Il Teatrino Scientifico è alla fine solo un modello?

Rossi: È e deve essere solo un modello; il termine teatrino è proprio usato nel gioco tra il teatrino dell’Accademia Virgiliana di Mantova e i teatrini accademici e questo in particolare nasce come un teatrino d’architettura, con la possibilità di sovrapporre cose all’interno, ma è finito in sé, è una architettura.

Raggi: Il termine effimero applicato in architettura la impoverisce?

Rossi: Ho scritto ultimamente che il termine effimero usato dalla critica è un fatto di moda, viene usato ormai per i festival di paese per tutto ciò che viene montato usato e smontato, nel senso delle cabine. Il Teatro del Mondo può essere definito effimero solo perché può essere facilmente smontato, un tipo di costruzione moderna che può spostarsi.

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Raggi: Cosa è moderno oggi in architettura? Cosa colleghi al concetto di modernità?

Rossi: L’architettura della ragione è una architettura moderna non nel senso di una catalogazione storica (Rinascimento, Barocco, neoclassico, modernismo, eccetera). Non vi è tempo nell’architettura.

Raggi: Perché alla Biennale di Venezia ha voluto stare fuori dalla Strada Novissima?

Rossi: L’ho fatto grazie alla amicizia di Portoghesi, che mi ha fatto costruire la porta; avevo rifiutato di costruire una facciata, per una critica puramente architettonica; la Strada Novissima era una ottima idea, che poteva essere molto bella in realtà accostando tutte queste bellissime facciate è diventata una trovata, questo era un difetto tecnico. Fatalmente ero costretto a fare qualcosa di troppo caratterizzato. Mentre la porta era una soluzione liminare tra esterno e interno, un teatrino, poteva essere un simbolo della mostra.

Raggi: Ti piace scrivere?

Rossi: Fin da ragazzo avevo interessi prevalenti letterari e cinematografici, ho un tipo di educazione letteraria. Credo che conti molto lo studio; inoltre mi piace scrivere, cerco di essere sempre personale nel modo di scrivere, come fosse un progetto. Mi interessa la perfezione tecnica. Non credo che un medico o un avvocato debbano scrivere male, non credo che la letteratura tecnica debba essere brutta, i bravi tecnici scrivono bene. C’è un libro, «Scienza e arte del costruire» di Nervi, un piccolo libro tecnico bellissimo … per non parlare di Alberti, Mantegna che erano dei letterati … Michelangelo quando scrive le lettere o le rime è un grande letterato e come tale lo giudichi.

Raggi: La parola scritta ha una sua autonomia.

Rossi: Certamente, chi non capisce la bella letteratura non capisce la bellezza tecnica o figurativa.

Raggi: E il linguaggio cinematografico? Volevi fare del cinema?

Rossi: Credo di aver fatto architettura pensando che era il mezzo per fare contenta mia madre, la laurea, l’università … poi fare del cinema; la facoltà di architettura mi sembrava la più vicina … Ho sempre avuto l’idea di fare il cinema, è una delle tecniche narrative più interessanti. Ora il tempo trascorre e non so se ce la farò.

Raggi: Che regista preferisci?

Rossi: Ho delle preferenze ma è difficile … tutti … potrei dire Fellini.

Raggi: Ti interessa un regista di memorie …

Rossi: Sì, ma non solo, Fellini mi piace perché fa sempre lo stesso film, si potrebbe montare e rimontare ed è sempre lo stesso. Sembra che dopo l’ultimo film non abbia più niente da dire. È una consolazione, perché anche a me capita ogni volta che faccio un progetto, mi sembra di non aver più niente da dire, poi invece la ricerca continua.

Raggi: Dove ambienteresti un tuo film?

Rossi: Sono appena tornato dalla Colombia e sono rimasto molto scosso da quelle immagini, ma credo che lo ambienterei nei luoghi che mi sono familiari.

Raggi: Quale pensi sia il luogo oggi dove avvengono cambiamenti culturali più evidenti? Non è più l’Europa?

Rossi: Credo che l’America del Sud sia uno dei luoghi più interessanti.

Raggi: E l’oriente?

Rossi: Non lo conosco, non sono andato oltre la Turchia, il mio oriente è molto limitato!

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Raggi: Pensi che esista ancora l’avanguardia?

Rossi: Oggi non credo, ti faccio io la domanda: tu credi che esista l’avanguardia?

Raggi: No, il concetto di avanguardia credo che sia legato a delle trasformazioni molto ordinate delle culture, credo che sia l’istituzionalizzazione del disordine dentro uno schema evolutivo molto ordinato. Oggi i comportamenti culturali si trasformano molto velocemente, tanto che l’avanguardia come atto critico si sbriciola e si trova spiazzata da se stessa.

Rossi: Comunque, se mai è esistita, oggi non saprei dove trovarla.

Raggi: Dovendo scegliere tra culture antiche: sei greco o sei romano?

Rossi: Decisamente greco, se vuoi la tua domanda attinge a una risposta retorica, evidentemente la risposta sta nella chiave di Hölderin, di Marx: ciò che è greco è irripetibile, chi giunge all’arte greca compie un processo completo. Mentre l’architettura romana traduce e crea un’architettura civile.

Raggi: Ti interessa di più una espressione di alta qualità artistica, una espressione definitiva?

Rossi: Come architetto mi interessa di più una architettura civile, se vuoi romana, ma gran parte di me stesso nel pensare una architettura civile tende a quella greca come un concetto di limite; come la storia del vecchio Canova che quando vede la Grecia capisce di aver perso tempo.

Raggi: Hai avuto molte case?

Rossi: Relativamente, in quanto ho un tipo di doppia educazione abitativa: campagna e città. Per situazioni familiari, per la guerra ho vissuto una gran parte degli anni più importanti in campagna, in una villa dei miei nonni sul lago di Como; poi in città. Oggi viaggio molto, ed è una condizione irritante, ti svegli e all’inizio non sai che lingua usi e dove sei.

Raggi: Ma tra la casa e l’albergo?

Rossi: Mi piace vivere in una casa molto personalizzata, come vedi questo studio lo è molto, oppure in un grande albergo. Non mi piacciono le condizioni intermedie. Non potrei vivere in una casa moderna, mi distrugge, intendo case dopo il 1930…

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Raggi: Abiteresti in una casa razionalista?

Rossi: Farei molta fatica; ho sempre vissuto in case vecchie, se non addirittura antiche.

Raggi: Abiteresti al quartiere Gallaratese?

Rossi: Preferirei una cascina vicino al Gallaratese, non vivrei volentieri in una mia architettura.

Raggi: E la storia del S. Carlone, cosa è per te?

Rossi: È un concentrato della mia visione dell’architettura. È una grande opera di ingegneria e un eccezionale concetto di architettura, una architettura dove lo stile diventa la persona umana. Si abita un corpo. Ha un valore simbolico e religioso, il fatto di aprire e chiudere il lago con questa grande immagine.

Raggi: La religione che parte ha in questa tua predilezione?

Rossi: Non diretta credo sia un fatto culturale.

Raggi: Credo che tu sia religioso, non praticante, ma come attitudine.

Rossi: Ho avuto una educazione cattolica molto marcata, forte, e mi piace un certo ordine, un tipo di architettura ordinata. Vi è una intelligenza e un abuso nella stessa domanda. Indubbiamente gli ingegneri sabaudi militari che costruivano le caserme non avevano problemi religiosi, però all’interno di questo tipo di ordine vi è anche una razionalità obiettiva. Un corridoio che disimpegna una fila di camere è un tipo di scelta … religiosa.

Raggi: Ti faccio una domanda da confessione: progetti da solo o anche con altri?

Rossi: Sì, progetto con molte altre persone. Molti progetti a partire da Modena sono fatti con Gianni Braghieri. Gli ultimi miei progetti sono marcati dalle presenze americane, svizzere e tedesche, seguono il corso delle mie …

Raggi: Però non progetti come quelli che progettano in équipe?

Rossi: No, il progettare con qualcuno è sempre un incontro, non potrei lavorare in una équipe.

Raggi: Ritieni di essere diventato troppo famoso?

Rossi: Non so, direi che è un tipo di celebrità che a volte un po’ mi molesta, a volte mi fa piacere, dipende dalle persone.

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Intervista pubblicata su Modo, n. 52, gennaio 1983