La sparizione dell’architettura

di Marco Biraghi

Boeri-1

Osservando i rendering della nuova città che Stefano Boeri Architetti si appresta a realizzare in Cina si affacciano alla mente alcune considerazioni. In primo luogo, da un punto di vista puramente percettivo, queste immagini rappresentano il trionfo del colore verde: verdi le colline sullo sfondo, verdi i palazzi in primo piano. Ma questa città, verde non lo è soltanto cromaticamente: è (vuole essere, dice di essere) una città non-città, una città “fatta” di natura. A fronte della tradizionale opposizione tra natura come habitat vegetale e organico, e città come prodotto artificiale e inorganico, la città di Boeri Architetti compie dunque un sorprendente sovvertimento: rende (dice di rendere) la città qualcosa di organico e di vegetale.

Liuzhou Forest City, situata a nord di Liuzhou, città di 1 milione e 400mila abitanti nella regione di Guangxi Zhuang, nel sud della Cina, è (dovrebbe essere) una nuova città di 30.000 abitanti, composta da zone residenziali di diversa natura e da spazi commerciali e ricettivi, oltre che da due scuole e un ospedale. Inoltre, al suo interno e sui suoi edifici saranno (dovrebbero essere) piantati «40.000 alberi e circa 1 milione di piante di più di 100 specie». In conseguenza di ciò, la nuova città sarà (dovrebbe essere) «in grado di assorbire ogni anno circa 10.000 tonnellate di CO2 e 57 tonnellate di polveri sottili e di produrre circa 900 tonnellate di ossigeno».

Boeri-2

Questi dati, desunti dal sito ufficiale di Stefano Boeri Architetti, in associazione con le immagini presentate sullo stesso sito e diffuse a mezzo stampa e in rete, intendono risultare altamente significative. Si tratta di dati quantitativi che indicano le performance compiute dalla nuova città; benché – in assenza di qualunque comparazione che consenta di valutare quante siano davvero 10.000 tonnellate di CO2 o 900 tonnellate di ossigeno – il senso di tali dati è soprattutto quello di impressionare, colpire, risultare memorabili.

Ma c’è qualcosa di più nelle visualizzazioni della Liuzhou Forest City: ciò che emerge da queste immagini è quanto con grande accuratezza nascondono. Mentre infatti la natura vi è mostrata a profusione, mentre perfino le infrastrutture stradali (per autoveicoli rigorosamente elettrici) e ferroviarie (superveloci) vengono esibite senza nessun imbarazzo, e anzi con un evidente orgoglio, le immagini della Liuzhou Forest City occultano completamente l’architettura; come se l’architettura in quanto tale rappresentasse un peso di cui liberarsi, una colpa da cui purificarsi, un male da eliminare.

Boeri-3

Questo annullamento (ovvero questo accorto camouflage) dell’architettura è curioso, tanto più poi in quanto colui che lo compie è un (ben noto) architetto. E se da un punto di vista estetico esso può essere spiegato con la volontà di eliminare qualcosa ch’è ritenuto ormai inutile o “ingombrante” (l’aspetto “autoriale” dell’architettura, insieme alla sua tradizionale classificazione come “artificio”), da un punto di vista politico la scomparsa dell’architettura ha un significato più ampio e problematico.

Provando a immaginare una città senza più architettura (apparente), Boeri Architetti tentano di vincere una difficile scommessa: concepire un ambiente affrancato dal carattere discretizzante degli edifici, vale a dire dalla singolarità da cui ciascuno di essi è connotato, ivi compresi gli attributi esteriori, le “qualificazioni” di cui ciascuno di essi è di consueto portatore. In altre parole, la città senza architettura di Boeri Architetti è una città (apparentemente) priva di differenze di “classe”, di distinzione di ceto economico o sociale, di discriminazioni di qualsiasi tipo. In quanto città “fatta” di natura, tale città supera le disuguaglianze insite negli (arte)fatti umani, per accedere a una sorta di “democraticità” della natura. Nella natura non vi sono lusso o povertà. Nella natura vi sono soltanto varietà di specie, non disparità di genere.

Boeri-4

Tutto ciò non viene detto espressamente nel testo che accompagna le immagini. Questo piuttosto pone in evidenza alcune delle “doti” della nuova città, non casualmente corrispondenti a quelle cui oggi viene attribuito un maggiore valore dal punto di vista della cura ambientale: la capacità di far diminuire l’inquinamento atmosferico, quella di conseguire un’autosufficienza energetica, quella di ridurre il riscaldamento climatico, quella di assorbire i rumori, quella di far aumentare la biodiversità delle specie viventi; in poche parole, la capacità di produrre un ecosistema ecologicamente sano ed equilibrato.

E tuttavia, dietro le sbandierate performance, dietro le verdi facciate “fatte” di natura, dietro tutte le apparenze, la Liuzhou Forest City nasconde la realtà di una città che non ha nulla di radicalmente differente da ogni altra città. Non soltanto il camouflage verde non rende in essa le operazioni immobiliari un affare meno vantaggioso rispetto a quelli realizzati in ogni altra città precedente, ma anzi, per molti aspetti le rende degli affari ancora più convenienti: grazie all’“annullamento” dell’architettura, grazie alla sua sparizione, l’architettura può finalmente essere fatta proliferare come mai prima d’ora. Non esistendo, può sorgere ovunque. Essendo “fatta” di natura, può sostituirsi alla natura. Non a caso anni fa Stefano Boeri proponeva la costruzione di boschi verticali nei parchi milanesi.

Boeri-5

La città foresta di Stefano Boeri Architetti è (potrebbe essere) la realizzazione dei più rosei  (pardon: verdi) sogni del capitalismo: il massimo di sfruttamento del suolo con il minimo (apparente) di impatto ambientale. E la Cina di oggi, di questi sogni capitalistici, è di gran lunga il terreno più fertile. Un terreno di quasi 10 milioni di chilometri quadrati, in buona parte ancora da costruire. Senza più ombra di architettura.

Milano, 4 luglio 2017