Milano 2015: un’Expo da gustare

 

Expo 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Nei giorni scorsi la Consulta architettonica per l’Expo di Milano 2015, composta da Stefano Boeri, Ricky Burdett, Jacques Herzog, William McDonough e Joan Busquets, ha presentato alla stampa il Conceptual Master Plan. Al di là dei toni quasi obbligatoriamente trionfalistici («un’Expo visionaria», «un’Expo memorabile», «una concezione rivoluzionaria delle esposizioni universali»), la versione più aggiornata del Master Plan sembra fare i conti con un’idea meno vuota e pretestuosa di manifestazione espositiva, accogliendo le sollecitazioni giunte da più parti per una maggiore integrazione con il territorio milanese e per un più virtuoso contenimento dei costi.

Ciò che il nuovo Master Plan propone è «un grande Parco agroalimentare strutturato su una griglia di tracciati ortogonali, circondato da canali d’acqua e punteggiato da grandi architetture paesaggistiche». Le “campiture di terreno” (rigorosamente uguali per tutte le nazioni) in cui il Parco sarà suddiviso «ospiteranno le coltivazioni esemplari della propria sovranità alimentare e quelle che ogni Paese sviluppa per affrontare le problematiche dell’alimentazione: campi agricoli sperimentali, orti, giardini, serre, padiglioni di trasformazione del cibo, dove i visitatori potranno assistere dal vivo (fino a nutrirsene) all’intero ciclo vitale dei prodotti alimentari».

In realtà non si tratta di un’idea esattamente “rivoluzionaria”, dal momento che è una palese riedizione del progetto di Rem Koolhaas per il Parc de la Villette (1982) a Parigi: le cui molteplici “fasce” (bands, strips) di differenti paesaggi “naturali” sono sostituite – nel caso del Master Plan per l’Expo – da “lotti” rettangolari (blocks newyorkesi, o insulae romane, volendo proseguire la metafora formulata dagli stessi autori) che dovrebbero variamente ospitare «la foresta tropicale, la tundra, il paesaggio mediterraneo, i climi estremi dei Poli, il deserto…».

Realizzabile o meno che sia in questi termini, il «grande Parco Botanico Planetario» ha l’indubbio vantaggio di coniugare esigenze di risparmio e problemi di ritardi, e costituisce «un’esperienza diretta e immediata del grande tema dell’alimentazione». A questo si aggiungeranno un anfiteatro all’aperto, i Padiglioni Tematici, un auditorium e altri edifici di servizio, per i quali, a partire dall’anno prossimo – secondo quanto annunciato –, verrà bandita «una serie di grandi concorsi di progettazione».

A loro riguardo – e proprio in relazione al tema-guida dell’esposizione (“Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”) – c’è da auspicare che una manifestazione che si propone come ambientalmente sostenibile, ecocompatibile, riciclabile, biodegradabile, ecc., segni anche l’inizio della stagione dell’architettura commestibile, togliendo così dall’imbarazzo su come riutilizzarne le strutture dopo il 2015.

 

Marco Biraghi

 

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