“Bisogna che tutto cambi, perché nulla cambi”


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di Silvia Micheli

Brisbane, 19 settembre 2011

È di pochi giorni fa la notizia che lo storico dell’architettura Jean-Louis Cohen e l’architetto Nanne de Ru sono diventati membri del Berlage Institute Research Board presso il Berlage Institute di Rotterdam. A loro si aggiungerà un terzo nuovo membro il cui nome dovrebbe essere annunciato entro l’anno.

Si legge a conclusione del comunicato ufficiale apparso sul sito del Berlage: “As members of the Research Board, Cohen and de Ru will be closely involved in redefining the Institute’s future”. Dunque l’istituto olandese, tra i più apprezzati a livello europeo, si sta impegnando per rinnovare il proprio assetto organizzativo, puntando sul settore della ricerca non tanto con il coinvolgimento di star internazionali per attrarre l’attenzione, ma con professionisti in grado di ridisegnare un progetto a lungo termine – si parla non a caso di “futuro”, parola ormai scomparsa dal dibattito architettonico italiano.

Non solo. Continuando a leggere il comunicato si evince che Cohen “will also take the Berlage Chair at Faculty of Architecture at the Delft University of Technology for a three-year period. The Berlage Chair was established in 2000 as a part of the collaboration between the Delft University of Technology and the Berlage Institute. Professor Cohen will contribute to strengthening this collaboration as well as to the renewal of the Berlage’s programs”. Insomma, oltre a una vera e propria iniezione di rinnovamento dei programmi, il Berlage Insitute scommette sul potenziamento delle connessioni tra istituzioni.

Tale notizia, della quale ci rallegriamo sinceramente, dovrebbe servire da stimolo per pianificare il futuro delle nostre scuole di architettura italiane. Al contempo ci induce a formulare amare considerazioni sulla condizione universitaria nazionale, la cui ricerca e didattica risulta sempre più spesso ripetitiva e limitata ai confini delle nostre scrivanie e aule.

Tra il 2011 e il 2012, su indicazioni ministeriali, scompariranno le facoltà di architettura italiane (e con esse i presidi, i consigli di facoltà), soppiantate dalle “scuole di architettura”. Tale passaggio dovrebbe allinearci, idealmente, con il sistema universitario internazionale. Si pensi dunque alla Yale School of Architecture, Harvard Graduate School of Design, Delft School of Design ma anche ad altre istituzioni quali l’Architectural Association, lo Strelka institute for Media, Architecture and Design o al Berlage Insititute, appunto, riconducibili per dimensioni e organizzazione a “scuole” piuttosto che “facoltà”. Questi sono i centri culturali dove oggi vengono condotte le ricerche più sperimentali per la nostra disciplina. In ambito italiano, il cambio nominale da “facoltà” a “scuola”, e le dirette implicazioni gestionali, potrebbero dunque essere intesi come reale occasione di rinnovamento strutturale delle istituzioni sull’esempio del Berlage Instiute.

Ma l’Italia, si sa, non è l’Olanda. A ben guardare c’è una grande agitazione nel cambiare la titolazione dei corsi di laurea, dei laboratori, dei dipartimenti, ma a una verifica più approfondita l’offerta formativa rimane pressoché inalterata e non vi sono strategie efficaci in grado di evolvere il sistema. I professori ordinari rimangono saldamente posizionati nelle stanze dei bottoni,  attorniati da una folta schiera di contrattisti ridotti a tirare a lucido le console: sostanzialmente si procede per continui “rimpasti” e mai per mezzo di nuove figure in grado di innescare nuovi processi culturali. Conseguentemente i programmi variano nella costruzione sintattica ma rimango inalterati nei contenuti da ormai 40 anni, con idee che erano rivoluzionarie nel ’68 ma che oggi fanno parte della storia, se non messe nella giusta prospettiva. Inoltre risulta allarmante la crescente impotenza di dialogo tra istituzioni.

In un estenuante quanto confusionario gioco di scatole cinesi, si insiste sui contenitori, e non sui ben più importanti contenuti. In sostanza si assite a una drammatica assenza di qualunque idea di progettazione del “futuro”.

Alcuni giornali registrano con assiduità lo stato crepuscolare del sistema universitario italiano, con testimonianze sconcertanti sulla fuga dei cervelli o sulle occasioni di ricerca perdute. Proteste, articoli caustici si susseguono giornalmente, eppure la denuncia non suscita interesse, in un Paese dove la telenovela politica ambientata a Palazzo Grazioli e a Montecitorio attrae – e svaga – di più…

“Bisogna che tutto cambi, perché nulla cambi”… Ecco la rivoluzionaria idea di “futuro” portata avanti oggi nelle “nuove” scuole di architettura in Italia…

19 settembre 2011