Un radical racconta i radical

Pur dichiarandosi lontano dai movimenti utopici dei Metabolisti o dai gruppi radicali inglesi, Branzi non ha negato l’esistenza di un primo periodo pop che accomunava di fatto tutte le tendenze radical: “tutti eravamo affascinati dall’idea di esportabile, importabile e dall’idea di essere trasportabile” di un prodotto, e dal concetto radicale di “deterritorializzazione della città”. Ma, come ha sottolineato Boeri, in Archizoom ciò non deve essere letto come utopia. Mentre Superstudio, a fronte di questa “complessità mobile”, ricercava un’architettura come portatrice di ordine (“avevano un atteggiamento quasi autoritario”, “non hanno mai fatto interni”) per Archizoom era diverso: “volevamo una liberazione dell’uomo dall’architettura”.

Superstudio, Monumento Continuo. New-New York, 1969-70. Archivio Superstudio, Firenze.
Superstudio, Monumento Continuo. New-New York, 1969-70. Archivio Superstudio, Firenze.

Ma ciò risulta vero solo in parte: se infatti in Archizoom troviamo teorie sullo spazio esterno e continuo quali la No-Stop City, dove effettivamente si definisce una struttura urbana indeterminata priva di architettura, in cui “curvilinee formazioni enzimatiche sparpagliate senza ordine apparente, rompono la monotona uniformità della griglia”[2]; d’altro lato i “Signori Archizoom”[3] hanno realizzato numerosi collages fotografici o installazioni di interni che proiettano nei più moderni supermercati in cui l’uomo (a volte del tutto assente) si è rifugiato per vivere la contro-utopia dell’era pop; un’era in cui il progetto iniziava a presentire i sintomi della propria crisi (messa in evidenza, secondo Branzi, da Archizoom prima che da ogni altro): “No-Stop City sottolineava l’impossibilità del progetto di essere portatore di ordine. E proprio come allora anche oggi l’ordine è impraticabile”. Riosservando oggi la produzione di Branzi e del suo gruppo, l’impressione che se ne ricava è che, nonostante la predicata volontà di liberarsi dall’architettura, Archizoom Associati fosse talmente dentro l’architettura che ciò che proponeva era “tutta architettura”.

Non manca – prima della proiezione di immagini significative presenti nel libro – un riferimento al design e al loro maestro per eccellenza, Ettore Sottsass: “Sottsass è altra cosa, non è mai stato radical”; e ancora, “era un’epoca in cui nel mondo del design e del prodotto si professava “il tutto per tutti”. “Sottsass e la sua cerchia invece iniziarono a selezionare il proprio cliente dotando l’oggetto di una profonda sacralità e liberandolo finalmente dall’accezione di strumento”. Fu questo il punto di partenza per Archizoom.

Seppur di non immediata lettura (manca la classica suddivisione in capitoli, e forse il mancato inserimento di un indice dei nomi deluderà il lettore che si aspettava di poter ricercare a piacere le generazioni esagerate di proprio interesse), il libro costituisce un’occasione – forse unica – per poter leggere nei pensieri di un architetto radicale che tira le somme della propria vita (esagerata), senza rinunciare a leggere il presente.

Andrea_Branzi_Una_generazione_esagerata_cover

ANDREA BRANZI

Una generazione Esagerata
Dai radical italiani alla crisi della globalizzazione

Baldini&Castoldi
Milano 2014

[1] A. Branzi, Una generazione Esagerata. Dai radical italiani alla crisi della globalizzazione, Baldini&Castoldi, Milano 2014.
[2] M. Biraghi, Storia dell’architettura contemporanea II. 1945-2008, Einaudi, Torino 2008.
[3] E. Sottsass, Gli Archizoom, inDomus”, n. 455, 1965.