CONTRASTS. Architetture milanesi a confronto

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Il titolo di questa mostra riprende quello di un libro famoso pubblicato nel 1836 da Augustus Welby Pugin, Contrasts or a Parallel between the Noble Edifices of the Fourteenth and Fifteenth Centuries and Similar Buildings of the Present Day, nel quale l’architetto neogoticista inglese – attraverso una serie di confronti tra immagini di architetture, monumenti e città riferite alle due epoche – intendeva polemicamente dimostrare la «decadenza del gusto attuale».

La tecnica dell’accostamento di opere di autori e periodi storici diversi possiede a volte un carattere rivelatorio ma al tempo stesso anche fortemente arbitrario, quando non addirittura deliberatamente antistorico. Il tratto di storia che tale tecnica illumina risulta così di sovente oscurato dall’ombra di discutibilità e di “sospetto” che essa stessa proietta.

È a partire dalla piena coscienza dei rischi che corre, dunque, che la presente mostra fa proprio il metodo comparativo. Ma con una precisa avvertenza: paralleli e confronti qui presentati, ben lungi dal voler dimostrare la «decadenza del gusto attuale», cercano piuttosto di mettere in luce aspetti degli edifici milanesi compresi tra gli anni ’50 e ’70 e tra gli anni ’80 e la metà del primo decennio del XXI secolo che altrimenti, se analizzati separatamente, sarebbero probabilmente destinati a sfuggire.

In questo senso, quanto emerge dai vari confronti è nella gran parte dei casi un contrasto, ma di natura e di segno di volta in volta differente: nel modo di intendere il carattere pubblico degli interventi; nel ruolo assunto dalla committenza; nel rapporto con gli altri edifici; nella maniera di trattare i componenti architettonici, di concepire lo spazio, di articolare le facciate, di risolvere i dettagli; in breve, di dare forma all’architettura nel suo complesso. Ma si faccia attenzione: non tutti questi contrasti si risolvono troppo facilmente e univocamente a favore degli edifici appartenenti al primo periodo. E se è vero che in molte circostanze sono proprio questi a presentare qualità, sensatezza e accuratezza esecutiva maggiori, è nondimeno in edifici più recenti che si lasciano rintracciare virtù – non a caso molto contemporanee – quali la capacità di adattamento, la leggerezza, l’attenzione ambientale.

Tutti questi contrasti sono i molteplici riflessi – ciascuno catturato all’interno di un proprio singolo “specchio” – delle trasformazioni che Milano ha subìto, ma nella gran parte dei casi accettato, se non addirittura fortemente voluto, nel corso degli anni, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Si tratta di trasformazioni sociali, politiche, civili, prima ancora che architettoniche; e sarebbe dunque del tutto scorretto attribuirne la responsabilità – o il merito – ai soli architetti. Ma più e meglio di ogni altra cosa, forse, sono proprio gli edifici che hanno caratterizzato Milano negli ultimi settant’anni a fornire una traccia consistente e durevole di ciò che è accaduto alla società che ha abitato e usato la città: la progressiva mutazione da un’economia produttiva basata sul comparto industriale a un’economia dapprima terziaria, e poi sempre più decisamente bancaria e finanziaria. Una mutazione che soltanto in maniera fallace e imprecisa può essere identificata con il lineare percorso che dal boom economico conduce alla crisi.

La Milano di oggi, improntata alla “smaterializzazione” e alla “volatilità” che contraddistingue i mercati finanziari e alla riduzione di ogni cosa a immagine, tipica del settore commerciale (ma ormai pressoché di tutti i fenomeni), si lascia fissare negli edifici che produce esattamente come la Milano dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, animata dallo spirito della ricostruzione ma scopertasi anche rapidamente cedevole alle seduzioni della nuova “civiltà dei consumi”, si lasciava fissare nei propri. E il medesimo rapporto si potrebbe osservare in tutti gli altri momenti del recente passato milanese.

Mettendo alcuni dei suoi edifici a confronto, Milano mostra di avere mutato volto, ma anche pelle, carne, sangue; modificando non soltanto – o, a volte, tanto – il proprio aspetto esteriore quanto piuttosto le sue logiche più interne e riposte. Rivelando infine di aver imparato a far propria anche quella “logica della spettacolarizzazione” contemporanea in cui le cose non si limitano a svolgere silenziosamente le proprie funzioni ma hanno al tempo stesso bisogno di renderle visibili e “godibili”: ovvero proprio ciò a cui la Milano moderna si era fieramente opposta e dichiarata in antitesi.

Contrasti, che tuttavia le diverse Milano qui offerte a confronto sono in qualche modo in grado di comporre.

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La guida di Milano
Nel 2013 GIZMO ha curato per Hoepli la “Guida all’architettura di Milano 1954-2014”. A seguito del successo del volume, è stata pubblicata la seconda edizione e una nuova guida in lingua inglese (a cui si è aggiunta la curatela di Florencia Andreola), “Milan Architectual Guide”, che estende lo spettro temporale dal 1945 al 2015. La Guida è un’opera collettiva, frutto della collaborazione di alcuni studenti del Politecnico di Milano, guidati dai proff. Marco Biraghi, Gabriella Lo Ricco e Silvia Micheli, e di diversi giovani storici e studiosi, i quali hanno curato la stesura dei testi critici. Il risultato è un lavoro capace di offrire un panorama critico di quanto realizzato a Milano negli ultimi settant’anni, per far emergere le “buone” ragioni che rendono apprezzabili certi edifici e per converso quelle in assenza delle quali altri edifici risultano invece criticabili.

Le fotografie
Le fotografie sono state realizzate in larga parte da Paola Di Bello, la quale si è avvalsa della collaborazione di alcuni dei suoi migliori studenti del Biennio Specialistico di Fotografia dell’Accademia di Brera (Vanessa Busellini, Giacomo Costa, Angela Di Palo, Tiziano Doria, Carolina Farina, Alessio Iacovone, Filippo Messina, Elena Monzo, Lorenzo Piovella, Mina Poostdooz, Damiano Riva, Marco Ronzoni, Elena Scanzani). Il corso è stato strutturato con una multidocenza dei fotografi Gabriele Basilico, Mario Cresci, Vincenzo Castella e Franco Vaccari, che hanno seguito e supervisionato le fotografie degli studenti. L’apparato fotografico costituisce un patrimonio prezioso per molteplici ragioni: per la qualità artistica degli scatti, realizzati appositamente per queste pubblicazioni; perché le immagini ritraggono la condizione attuale degli edifici, costituendone una documentazione aggiornata e rigorosa; perché la selezione degli scatti è avvenuta attraverso un confronto multidisciplinare tra gli autori delle fotografie, i supervisori e i curatori dei libri.

La mostra è a cura di GIZMO
Ordine degli Architetti P.P.C. della provincia di Milano, via Solferino 19.
11 giugno 2015 – 10 luglio 2015
Dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 19
Ingresso gratuito