Thom Mayne o l’ottimismo

Thom Mayne, sede della Cooper Union, New York

 

Su «L’Espresso» di questa settimana Alessandro Cassin recensisce in termini entusiastici la nuova sede della Cooper Union for the Advancement of Science and Art di New York, realizzata dall’architetto americano Thom Mayne: «La grande architettura torna a Manhattan. Dopo anni in cui le energie imprenditoriali e l’attenzione dei critici sembravano emigrate verso la Cina, ecco che un edificio rivoluzionario […] infiamma polemiche e immaginazione come solo i capolavori sanno fare. […] La critica lo ha paragonato per importanza e impatto alle icone cittadine del secolo scorso: l’Empire State Building, il Chrysler Building, il Seagram Building e il Guggenheim Museum».
Vincitore del Pritzker Prize 2005, Thom Mayne, in un’intervista con Anna Tilroe, ha dichiarato: «L’idea del futuro è morta! Ora sappiamo che il mondo cambia in modi del tutto imprevedibili e che ogni atto umano rende l’aspetto del futuro completamente differente. Quindi è inutile elaborare idee per il futuro. Come architetto, ho bisogno di una visione del mondo? Ovviamente sì! Ma questa visione non si estende più in là di domani. Chiedimi se sono ottimista e speranzoso: sì, certo che lo sono».
Probabilmente l’ottimismo di Mayne è giustificato, perlomeno per quanto lo riguarda: lasciata alle spalle la parte più oscura e faticosa (ancorché sperimentale) della sua carriera – e soprattutto dopo la sorprendente affermazione nel Pritzker –, la strada per lui sembra farsi in discesa.
Meno roseo pare invece il futuro per chi faccia riferimento alla nuova Cooper Union. Se la grande crepa che ne attraversa la facciata verso Cooper Square – e più in generale, la “scomposizione” su tutti i fronti – possono essere interpretate in senso allegorico, allora da esse non è lecito aspettarsi qualcosa che vada molto più in là di domani.

 

Marco Biraghi