Pensando positivo, ovvero il Fuorisalone e il Bispensiero

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di Linda Stagni 

Nel caso in cui Milano fosse un grosso paese, e non una città, gli eventi collaterali che il Salone del Mobile si porta dietro, riassumibili nell’ormai collaudata espressione di «Fuorisalone», sarebbero da intendersi alla stregua di una primaverile sagra popolare alla quale, discordanti o favorevoli, non saremmo in grado di sottrarci per il semplice fatto che nella loro unicità e ripetitività di cadenza annuale, rappresentano il momento di gaia e affollata condivisione dello spazio milanese, nonché la totale inglobazione del suolo urbano da parte dell’evento. 

Alla macchina dell’intrattenimento agreste prodotta principalmente grazie al binomio divertimento-affollamento, contornato da innumerevoli prestazioni artistiche, gadget e da postazioni-bivacco gratuitamente offerti, Milano risponde con eleganti manifestazioni di carattere tipicamente urbano: il totale congestionamento del traffico si affianca a un potenziamento dei trasporti pubblici (per quanto sostenuto da «ATM informa… »), mentre il “tuttocompleto” nelle strutture alberghiere, nonostante le tariffe rincarate, dona un volto multietnico alla città.

Dal lato politico il vitale movimento che si crea intorno al Salone del Mobile – l’edizione 2010 va dal 14 al 19 aprile – è visto con fierezza e soddisfazione tanto da prenderlo come esempio e spunto per trasformare la settimana autunnale della moda, ritenuta per ora con un’utenza troppo ristretta – sebbene in fatto di traffico automobilistico non abbia nulla da invidiare al Salone.

Il temporaneo rinfoltimento di popolazione, e di mondanità, a cui Milano deve sottostare, se non altro, le permettono di mostrarsi sotto una diversa luce: la potente massa – folla – nel suo incessante “entra-esci” consente l’apertura straordinaria di numerosi luoghi che normalmente, abbandonati o sottoutilizzati, non sono di libero accesso (se non di comune interesse). Se luoghi storicamente importanti come la sede dell’Università Statale oppure il Castello, impacchettati a festa, estendono semplicemente gli orari di apertura, showroom, palazzi, corti e negozi, spesso riservati a un’utenza esclusiva, si trovano invasi da una democratica e variegata umanità; case museo (Museo Bagatti Valsecchi, Casa Boschi di Stefano,Villa Necchi Campiglio, Museo Poldi Pezzoli) accanto alle regolari esposizioni d’arte affiancano oggetti di design; ex aree industriali come l’ex Ansaldo, Superstudio, oppure spazi riconvertiti e oggi gestiti privatamente come La Pelota, e addirittura parcheggi si trovano con lunghe code di persone in attesa di poter entrare. 

Nell’elencazione degli spazi più fruibili non va trascurato l’importante ruolo della strada. La strada, a prescindere dalla costante presenza di automobili, è riscoperta come luogo pubblico e nell’attività del passeggio si incasella la logica del quartiere – o meglio definita oggi come “zona” – anch’esso riscoperto. Ed è così che aree come Zona Tortona, Corso Buenos Aires, via Paolo Sarpi-Fabbrica del Vapore, Isola,  Brera-via Montenapoleone, Triennale-Castello-Corso Sempione e zona Duomo diventano dei fulcri d’attrazione, e magicamente la Milano policentrica trova una propria stabilità.

Ad affiancare i già collaterali eventi del Fuorisalone si trovano ulteriori manifestazioni (ad esempio Elita) mentre l’attività culturale si fa frenetica con mostre inaugurate in occasione della settimana del design e prolungate nei periodi successivi (La mano del designer, Un bagno di stelle, Tutti a tavola).

Lo splendore che illumina Milano, basato in fondo sull’esposizione di oggetti che dovrebbero interessare un più ristretto settore culturale ma che interagendo col più profondo e vasto interesse economico riesce a trasformarsi in un evento alla portata di tutti, rivela nella schizofrenia e iperattività, in soli sei giorni, una vera metropoli.  

A festa finita tornerà al singolo la scelta di come e dove impiegare il proprio tempo libero.

Milano, 17 aprile 2010