Milano e l’occasione di costruire un’armatura per il futuro

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di Daniela Villa

L’altra Expo di Emilio Battisti

A fine aprile del 2010 è stato presentato il masterplan definitivo per l’Expo 2015, espressione del tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, evidentemente ridotto rispetto alle linee guida del 2008: scomparsa la distesa di padiglioni, scomparsa la torre di 200 m. A ottobre ci sarà l’appuntamento con il BIE (Bureau International des Expositions) per dimostrare l’avvenuta acquisizione da parte della Società Expo dell’area di Rho-Pero destinata alla manifestazione (circa 1 milione di mq per l’attuale valore agricolo di 200 milioni di euro), che darà il via libera all’apertura dei cantieri. 

Nel frattempo però liti interne hanno portato alle dimissioni dell’amministratore delegato della Società Lucio Stanca – a cui è succeduto Giuseppe Sala –, e non si è ancora arrivati a un accordo sulle modalità di acquisizione dei suddetti terreni (di proprietà di Fondazione Fiera e del gruppo Cabassi), da cui dipende anche il destino post-Expo degli stessi. Il sindaco di Milano Letizia Moratti e il presidente della Provincia Guido Podestà propendono per il comodato d’uso offerto dai proprietari, mentre il presidente della Regione Roberto Formigoni non lo ritiene conveniente e propone l’acquisto delle aree, dapprima con l’idea di una NewCo a capitale pubblico formata da Comune, Provincia e Regione, ora di una società mista di cui farebbero parte anche Fiera e Cabassi.

La decisione viene rimandata a settembre, mese in cui sono previsti i secondi Stati Generali dell’Expo, ma intanto si pensa già alla possibilità di presentarsi all’appuntamento di ottobre con un “mini-accordo”, in cui i proprietari privati si impegnano a mettere a disposizione i terreni e gli enti locali a scegliere definitivamente una via di acquisizione. Una “promessa”, insomma, che non fa che rimandare la questione. 

Sembra che la “macchina” dell’Expo non si voglia mettere in moto, ma  parallelamente continua il lavoro di gruppi di studiosi e professionisti che riflettono sulle opportunità offerte dall’evento alla città e si impegnano a formulare critiche propositive.

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 Il 28 marzo del 2009 Emilio Battisti e Paolo Deganello, entrambi architetti e docenti di architettura, hanno redatto una petizione, appoggiata da amici e colleghi dell’Ordine degli Architetti di Milano, sottoposta poi alle istituzioni, con l’obbiettivo di raccogliere firme per una sostanziale revisione del programma della manifestazione, che conduca a una “Expo diffusa e sostenibile”. 

L’appello di Emilio Battisti é chiaro: «La manifestazione per l’Expo così come concepita dal BIE è totalmente anacronistica nel tempo della crisi: invece di sprecare capitali , territorio e cubatura per costruire un “luna-park” di padiglioni (si riferisce al masterplan concettuale del 2008), che a manifestazione ultimata, dovranno essere demoliti, è necessario investire le risorse per una sostenibilità ambientale e sociale di quanto è già edificato e urbanizzato».

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Milano dovrebbe diventare esempio di città che non investe risorse pubbliche  e private solo per un contingente rilancio di investimenti e occupazione, ma che usa l’evento quale occasione di riqualificazione della sua abitabilità complessiva, urbana , rurale e metropolitana: recupero di strade e spazi pubblici, monumenti, architettura e rilancio dell’agricoltura conservativa.

Tra gli altri, anche Giancarlo Consonni  sostiene una Expo diversa: «Fare della manifestazione non un intervento/evento separato dal contesto, ma un’occasione per valorizzare elementi qualificanti della città e della regione ospitanti e per mostrare effetti di politiche virtuose e buone pratiche in coerenza con il tema dell’esposizione». 

La  petizione nello specifico chiede:

– La realizzazione di una Expo senza nuovi padiglioni confinati in un sito, ma “diffusa” sul territorio, fino a investire l’intera regione, e “sostenibile” dal punto di vista ambientale e sociale.

In alternativa l’utilizzo di strutture già esistenti e disponibili o rese tali con l’avvio di cantieri medio-piccoli di riqualificazione (in grado tra l’altro di incentivare l’occupazione molto più di quanto avvenga per i grandi interventi), così che il visitatore possa anche venire a conoscenza del patrimonio storico e artistico di Milano.

Il sistema espositivo dei “grandi eventi” sarebbe ospitato nel sistema fieristico e congressuale di Rho-Pero e FieramilanoCity al Portello; nei parchi urbani e metropolitani dotati di attrezzature e servizi (Ippodromo, Parco di Trenno, Bosco in Città, Parco delle Cave, Parco Nord Milano, Parco Forlanini, Idroscalo, Parco Azzurro); in sistemi espositivi articolati attorno ai tre parchi storici lungo la cerchia dei Bastioni, connessi a edifici monumentali (Parco Sempione, Ex Giardini Pubblici I. Montanelli, Parco Basiliche-Archeologico); all’interno di musei e gallerie (facendo una selezione tra 30 musei, anche in territorio provinciale, e 100 gallerie d’arte); chiostri e cortili di edifici monumentali; aree dismesse in attesa di trasformazione, attualmente già utilizzate per manifestazioni e eventi (come l’area dei Gasometri per il circuito del Fuori Salone).

Il sistema degli “eventi collaterali” potrebbe essere allestito nelle Università, Accademie e Centri-studio, nei Centri culturali di altri Paesi, nelle ville, palazzine e complessi monumentali connessi a parchi, anche in provincia. Inoltre l’occasione offerta dall’Expo di utilizzare per microeventi  e manifestazioni i servizi e i parchi realizzati nelle aree degli storici quartieri di edilizia residenziale (come il Gallaratese) e dei più recenti PII e PRU potrebbe  favorire la ricercata continuità con il tessuto della città e rompere il carattere di “enclave”.

Il tutto con interventi che garantiscano una riduzione del fabbisogno di energia o l’autosufficienza energetica nel caso di sedi espositive, una “rigenerazione ambientale” che prevede la creazione di “nicchie microclimatiche” lungo il sistema degli spazi aperti urbani correlati alle sedi espositive.

– Il potenziamento e la razionalizzazione delle infrastrutture a servizio della mobilità già esistenti, anziché investire in nuove infrastrutture “spettacolari” per raggiungere il sito dell’Expo, occasione per completare i progetti in corso e realizzarne di nuovi, inseriti in un quadro d’insieme che pensi  al dopo-Expo.

Consonni a tal proposito ha affermato: «Del tutto sottovalutato è il problema dell’accessibilità al luogo scelto per l’Expo. Si preferisce stupire come in uno spettacolo di magia. Un primo coniglio estratto dal cappello è la nuova “Via d’acqua” pensata per collegare la Darsena milanese con il sito della esposizione. I proponenti non si sono nemmeno posti il problema da dove attingere l’acqua (visto che non può certo scorrere in salita) né di come superare il dislivello fra Milano e Rho/Pero, per non dire dei guasti prodotti sui luoghi attraversati. Con lo slogan “Potrete raggiungere Rho, la Fiera e l’Expo in battello!” si punta su scenari alla Disneyland».

– La riqualificazione degli scali ferroviari dismessi.

– Il recupero delle cascine del Parco Sud per ospitare strutture di ospitalità e ristoro.

– La riqualificazione del centro urbano orientata all’autosufficienza energetica dei 90.000 appartamenti sfitti e dei 300.000 mq di terziario inutilizzato, per ospitare spazi espositivi e luoghi di ristorazione  a basso costo, gestiti dai paesi espositori (poi riconvertiti ad attrezzature residenziali e di ristoro a prezzo calmierato); la scala dell’evento e il tipo di partecipazione sarebbe in grado di mobilitare molti interessi privati, stimolati anche dall’assegnazione di incentivi e dalle agevolazioni fiscali per il risparmio energetico.

A fronte delle più di 1350 adesioni, a luglio del 2009 si è costituita l’associazione dell’Expo Diffusa e Sostenibile (EDS), che si propone di dare concretezza all’iniziativa, attraverso le analisi e le iniziative di quattro gruppi di lavoro: Territorio e Sostenibilità – coordinato dallo stesso Battisti–, Agricoltura e Nutrizione, Mobilità e Trasporti, Economia e Occupazione.

Il team ha individuato un quadro strategico di livello territoriale in grado di concretizzarsi in quella che è definita “l’armatura della futura area metropolitana sostenibile”, vera eredità che resterebbe ai cittadini milanesi e lombardi. Il piano è stato presentato agli Stati Generali Expo del 16 e 17 luglio 2009, in presenza delle cariche istituzionali.

Ora, assolti gli obblighi formali con il BIE, tra cui quello di individuare tassativamente un sito riservato all’Expo, e preso atto del dovuto ridimensionamento delle infrastrutture in progetto per mancanza di finanziamenti, Battisti ritiene doveroso almeno riconsiderare il rapporto tra il sito e il “fuori Expo”, che potrebbe assomigliare al “fuori Salone del Mobile”, oggi forse divenuto più importane del Salone stesso.

«Un’ Expo che nasce dalla crisi ha la necessità di rinnovare la formula dell’evento. I suoi effetti dovrebbero accordarsi con l’attuale fase di rinnovo degli strumenti urbanistici» (PGT).

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Già l’accettazione dell’ipotesi elaborata dagli ideatori del masterplan Stefano Boeri, Ricky Burdett e Jacques Herzog , quella di un “orto planetario” come elemento distintivo dell’Expo, «il cui mantenimento e ruolo sarà la vera eredità dell’Expo», mentre «le future costruzioni dovranno posizionarsi solo a livello perimetrale» a detta dello stesso Boeri; lo sforzo di progettare altre due articolazioni dell’Expo, la Via d’Acqua e delle Cascine, e la Via di Terra e della Conoscenza, nonché il progetto dei Raggi Verdi sembrano andare verso quest’ipotesi di lavoro innovativa, ma rientrano in un ambito cittadino, solo parzialmente metropolitano, quindi risultano ancora insufficienti a risolvere gli squilibri provocati dal sito Expo. 

Inoltre ci sono ancora troppi aspetti poco chiari, come per esempio le effettive dimensioni dell’ Expo Village, un “quartiere” di 160 edifici in linea lungo il canale a nord-est e altri due “residence”, uno a sud di Milano e l’altro nell’area di Cascina Merlata a sud dell’ Expo; la destinazione di altre cinque aree circostanti (le cui superfici sommate sono addirittura superiori a quella dell’Expo vera e propria), cosiddette “di sviluppo urbano soggette al concept masterplan” nel  2009, di cui non si parla più nel progetto consegnato lo scorso aprile; infine la distribuzione delle risorse fra i tre progetti, area Expo, Via d’Acqua , Via di Terra ( è già stato detto che il recupero delle cascine non potrà farsi coi fondi Expo). 

La proposta di Battisti e di molti altri colleghi che si muovono nella sua direzione può a prima vista sembrare un atto di rinuncia  da parte della disciplina  nei confronti del gesto progettuale, ma risulta troppo urgente  per Milano il bisogno di fermarsi a riflettere sulla propria situazione, e non potrà che essere una  dimostrazione di buon senso quella di cogliere finalmente l’opportunità di rimettere in sesto il proprio territorio per poi davvero affrontare il futuro a testa alta.

Milano, 18 aprile 2010