Botta mette in mostra i 50 anni del suo lavoro

di Pietro Pizzi

Omaggio a Duchamp

Venerdi 24 Settembre 2010, MaRT, Rovereto: sono passati cinquant’anni da quando un giovane disegnatore svizzero di nome Mario Botta si affacciava per la prima volta all’architettura.  Cinquant’anni durante i quali quel giovane disegnatore si è formato come architetto e con le sue opere ha segnato con forza i paesaggi urbani, e spesso anche extraurbani, di mezzo mondo.

È ancora presto, la mostra inizierà fra un paio d’ore, l’eco dei passi sulla pietra del vicolo di ingresso fra gli storici palazzi dell’ Annona e Alberti ci accompagna fino al grande vuoto della piazza circolare dominata dalla cupola in vetro: luogo ricco di rimandi e segni comuni con altre epoche e storie. All’interno della hall di ingresso passa indaffarato l’architetto che fino all’ultimo ha seguito con l’emozione di un giovane l’allestimento di questo evento per lui speciale.

Una conferenza intitolata “Luoghi Per” precede l’inaugurazione e vede presenti accanto a Mario Botta, la direttrice del MaRT Gabriella Belli, il critico d’arte Gillo Dorfles,  Aldo Colonnetti direttore di Ottagono e lo psicologo Paolo Crepet. Un pubblico attento affolla il grande auditorium dalle pareti sfaccettate in legno chiaro.

Terminata la conferenza ci si sposta all’ interno del museo, pronti a toccare con mano l’opera dell’architetto svizzero. Le scale contrapposte portano il visitatore a risalire il grande vuoto della hall di ingresso e lo immettono direttamente nel cuore della mostra.

copertina

Ti accolgono inaspettati un grande dipinto di Varlin, “Corridoio a Bondo”, e di fronte ad esso L’omaggio di Mario Botta a Marcel Duchamp il cui celebre “Urinoir” viene ricomposto e reinterpretato con la tecnica delle sezioni sottili in legno.

Un diaframma quasi obbligato attraverso cui penetrare e nel quale sono poste come reliquie di un passato sempre presente, opere, immagini, snapshot di riferimenti a lui cari. Ricordi che hanno segnato la sua vita e che ne hanno condizionato l’architettura. Disegni di Picasso, Moore, Modrian, Rietveld, Wright, Le Corbusier e Kahn si affiancano a sculture di Niki de Saint Phalle, Giacometti, Tinguely e Duchamp: tanti spunti, tanti echi e assonanze che ci parlano all’interno della sua opera. Sul pavimento, ognuno di questi riferimenti viene commentato da Botta con un breve testo che aiuta a comprenderne il significato più profondo.

Il percorso si sviluppa in diverse sale suddiviso ordinatamente per temi tipologici: Spazi per: abitare, abitare collettivamente, lavorare, studio e tempo libero; biblioteche, musei, teatri, spazi del sacro; scenografie, allestimenti e design. Ciascuna opera viene presentata attraverso una grande fotografia in bianco e nero, alcuni schizzi e un modello ligneo di grande qualità; solo una breve didascalia, accompagnata da un’assonometria e una pianta, riassume le principali caratteristiche dell’architettura costruita.

Modello Charlotte

E così si passa di fronte a cinquanta edifici costruiti da Botta in un arco temporale che corre dal 1960 al 2010: il carattere monografico della mostra si consolida attraverso il rigore svizzero dell’allestimento. Un carattere più giocoso ha la sezione dedicata agli allestimenti, alle scenografie e agli oggetti di design e, in particolar modo, dei vasi portafiori, le cui geometrie semplici si intrecciano e si mischiano tra di loro di fronte a una parete interamente ricoperta dai schizzi dell’autore.

All’interno degli spazi del MaRT, concepiti per ospitare le collezioni del museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, Botta consegna al pubblico la propria vita di lavoro: esposizione dentro l’esposizione in un aura di rigore dove la geometria e la gravità segnano in modi ricorrenti tutto il percorso dell’architetto. Ripetizione e solennità hanno garantito la forte riconoscibilità dell’opera bottiana lasciando poco spazio a incursioni esterne.

Ma in un angolo della mostra si scorge un progetto poco conosciuto, un centro benessere su un isola coreana dove sopra un basamento rivestito in pietra lavica, una gabbia metallica racchiude una sfera, un “captive globe”…

Chissà…

Botta's Captive Globe

Pietro Pizzi

Milano, 15 ottobre 2010