CELOSIA o dell’Housing Sociale

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Negli ultimi anni, una crescita edilizia smisurata ha investito la periferia madrilena: ampli viali dividono isolati che sembrano essere raccolti in loro stessi, lasciando poco spazio a relazioni con una strada che assume le dimensioni di un’autostrada. Qualche anno dopo la realizzazione dell’edificio ‘Mirador’, poco distante, MVRDV è chiamato a intervenire secondo un programma di social housing, promosso dall’ EMVS (Empresa Municipal de la Vivienda y Suelo), che richiedeva 146 appartamenti, spazi commerciali e parcheggi.

 

 

 

La risposta dello studio olandese si mostra netta rispetto al contesto della periferia circostante: l’edificio propone una tipologia a corte i cui fronti presentano ampi svuotamenti, e creano in tal modo una moltitudine di spazi semiprivati a varie quote, attorno a un’ampia piazza centrale comune. L’impatto stereometrico del volume che contorna il nuovo isolato si attenua una volta penetrati nella quiete della corte ombrosa. All’interno di questa, la luce naturale si affaccia dai vuoti che si aprono nei corpi di fabbrica, e ritaglia sulle scabre pareti frammenti del paesaggio urbano circostante. Il sole che penetra dall’alto  intercetta con le sue linee nette il sistema di queste cavità  in doppio volume e mette in risalto il principio aggregativo degli spazi  e il sistema degli accessi. I corpi scala infatti recapitano direttamente sui loggiati comuni, su cui si aprono gli accessi alle singole unità abitative.

 

Non è difficile comparare idealmente questo grande isolato urbano con le prefigurazioni  lecorbusieriane dell’Immeuble Villa. Tuttavia, mentre la cellula abitativa dell'”esprit nouveau” tentava di offrire una nuova e diversa condizione del vivere, in questo caso lo sforzo di razionalizzazione degli spazi residenziali non va oltre l’ideazione di una diversa dinamica tra percorsi pubblici e spazi privati.

 

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L’impressione è quella di un edificio all’interno del quale manca ancora la componente della vita: gli spazi distributivi dovrebbero essere forse usati in modo differente dagli utenti, così come l’interno della corte comune. La sensazione di abbandono (complice la mancata apertura degli esercizi commerciali che si affacciano su di essa) contravviene in modo stridente all’originario disegno di un vasto ambiente collettivo  nel quale confluiscono naturalmente i percorsi pedonali  provenienti dalla viabilità circostante.

Come tutte le periferie anche questo frammento incompiuto ha ancora bisogno del trascorrere del tempo prima di divenire una parte vitale di città.

 

È difficile dire se la scommessa progettuale sia stata vinta oppure no. Quel che è certo è che la nuova dimensione dei problemi connessi alla costruzione di social housing richiede non solo un buon approccio architettonico ma – soprattutto – una risposta coerente alle aspirazioni e ai valori che la complessità della realtà inesorabilmente pone. E questo obiettivo sembra esser stato raggiunto.

 

Pietro Pizzi

 

16 dicembre 2010