Il pensiero positivistico di Expo 2015

Campagna promozionale del sondaggio eXponiti, Milano 2009

di Gabriella Lo Ricco

Campagna promozionale del sondaggio eXponiti, Milano 2009
Campagna promozionale del sondaggio eXponiti, Milano 2009

Dal 31 marzo 2008, giorno in cui la città di Milano si è aggiudicata Expo 2015, quel pensiero positivistico che ha determinato nel XIX secolo l’origine delle esposizioni  internazionali quali manifestazioni di progresso economico e produttivo si è manifestato diverse volte, in diversi luoghi e sotto diverse spoglie. Tale pensiero trova oggi le proprie ragioni in una curiosa idea secondo la quale le condizioni di eccezionalità determinate dai grandi eventi – Olimpiadi, Campionati Mondiali o Europei di calcio, Giubileo, Esposizioni internazionali, G8, ecc… – costituiscono automaticamente la possibilità di tracciare delle nuove prospettive evolutive.

È indubbio che Expo 2015 costituisca per Milano e per la Lombardia l’occasione per realizzare in tempi ristretti una serie di importanti opere infrastrutturali – quali ad esempio le Metropolitane o le autostrade Pedemontana e BreBeMi – tuttavia innumerevoli sono gli elementi che mostrano la metamorfosi che i tanto osannati effetti di Expo 2015 subiscono nell’accedere nel “territorio” milanese.  

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Campagna promozionale del sondaggio eXponiti, Milano 2009

Un dubbio doveva già insinuarsi nel 2009 quando, nei luoghi pubblici di Milano, sui mezzi di trasporto e negli spazi commerciali, sono comparse le immagini della campagna promozionale del sondaggio eXponiti. La campagna comunicava un messaggio chiaro: Expo 2015 è l’occasione, per la città di Milano e per i suoi abitanti, per sopperire a ciò che manca: per donare ai bambini spazi pubblici di divertimento e di formazione; per far percepire agli adolescenti un futuro radioso e in crescita verso cui aspirare; per offrire ai giovani lavoratori nuove occasioni internazionali di lavoro. In modo significativo, anche se il suo slogan recitava  che «l’Expo è nella tua città, è per te, è di tutti», il sondaggio eXponiti era rivolto a delle precise fasce generazionali – bambini, adolescenti, giovani e anziani – che escludevano la possibilità di includere tra di esse i rappresentanti di quella oligarchia finanziaria e politica instauratasi nella città dopo la fine di Tangentopoli e che oggi ne determina la trasformazione trascurando proprio l’interesse pubblico.

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Campagna promozionale del sondaggio eXponiti, Milano 2009

Un pensiero positivistico presuppone la programmazione dei lavori: Expo è l’occasione per ridare alla committenza pubblica un ruolo cruciale nella sperimentazione architettonica.

A ridosso dell’Orto Planetario verrà costruito un quartiere che darà ospitalità a parte del pubblico internazionale. Il quartiere, in ricordo del ruolo assolto dalla Triennale di Milano durante la ricostruzione con la realizzazione del QT8, viene emblematicamente nominato QTE15. La progettazione dei 160 edifici che comporranno il quartiere sarà infatti affidata tramite quindici concorsi pubblici volti a premiare le proposte architettoniche più sperimentali.

Si tratta di una proposta sorprendente visto che l’affidamento degli incarichi pubblici in Italia è regolato dal Codice dei contratti pubblici – un decreto legislativo che ha aggiornato nel 2006 la legge Merloni – per cui il principale criterio di selezione dei progettisti è di natura quantitativa – motivo per cui spesso gli studi di architettura riescono a concorrere solo unendosi in gruppo. Ma anche questa possibilità è ormai scartata, visto che in realtà i quindici concorsi pubblici sono stati nel frattempo tramutati in gare d’appalto per le imprese, gare in cui i progettisti vengono scelti dalle imprese stesse in base a fini che evidentemente esulano dalla ricerca di qualità o di sperimentalità dell’intervento.

 

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Expo Milano 2015. Veduta del QT15, Masterplan 2010

Un pensiero positivistico sottintende anche il masterplan di Expo 2015 elaborato dalla Consulta Architettonica composta da Stefano Boeri, Ricky Burdett, Jacques Herzog, William McDonough e Joan Busquets. Come affermato da Stefano Boeri il 19 giugno 2010 presso la Triennale di Milano “Expo e Cascine sono due esempi di un modo di pensare il territorio localmente non come palcoscenico, non come proiezione delle politiche, non come piattaforme mediatiche dove la politica si racconta spesso usando l’architettura – e noi [architetti] siamo vittime e complici di questa modalità […]. Ma sono esempi della possibilità di usare il territorio come metafora di dinamiche sociali nuove, come luogo in cui la capacità di rappresentazione delle dinamiche sociali ti permette di intravedere delle forme nuove di fare politica […]”.

L’idea dell’Orto Planetario – unitamente alla ristrutturazione delle settanta cascine pubbliche collocate attorno a Milano – nei propositi dei progettisti risponde infatti positivamente ai diversi piani che Expo implica. Sotto un profilo economico, e alla luce della crisi finanziaria innescatasi proprio a partire dal 2008, minimizza la spesa d’investimento pubblico, perché esclude la costruzione di padiglioni e propone la realizzazione di attrezzature pronte a rispondere a richieste funzionali variabili e impiegabili anche dopo la manifestazione in altri contesti. Sotto un profilo ideativo interpreta il tema dell’Expo, Feeding the Planet – Energy for Life, in modo concreto, perché affida ai vari paesi degli orti e degli spazi in cui mostrare nella pratica la filiera produttiva alimentare. Sotto un profilo sociale l’idea dell’Orto Planetario è strumentale a mettere in atto una modalità di intervento ormai inedita per la città di Milano, perché sottrae vaste aree del territorio alla speculazione immobiliare e le dedica al contempo alla vocazione agricola.

Expo Milano 2015. Veduta degli orti e delle serre, Masterplan 2010
Expo Milano 2015. Veduta degli orti e delle serre, Masterplan 2010
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Expo Milano 2015. Veduta del canale, Masterplan 2010

In realtà si tratta di un’idea tutt’altro che inedita, perché già negli anni Sessanta gli architetti radicali avevano intrapreso tale strada contrapponendo alla città statica, percepita come emblema della speculazione edilizia, un modello dinamico che sostituiva al primato della forma e della “sostanza costruita”, quello dei bisogni degli abitanti. Ma si tratta anche di una modalità progettuale che calata nelle condizioni oggettive di Expo 2015 perde persino il suo senso originario, perché l’idea dell’Orto Planetario non esclude la formazione della città speculativa, nè inaugura un nuovo modo di intervenire nel territorio milanese. Innanzi tutto perché proprio nelle adiacenze del sito di Expo 2015 è stato avviato il progetto di Cascina Merlata, una operazione immobiliare di iniziativa privata che oltre al Villaggio Expo prevede la costruzione di alloggi per 8000 abitanti, edifici commerciali, alberghi e uffici. In secondo luogo perché l’esposizione è prevista in una vasta area di proprietà privata e quindi, qualunque sia l’accordo che le parti raggiungeranno, Expo è strumentale a legalizzare un considerevole trasferimento di risorse dal pubblico al privato. Inoltre, come evidenziano alcuni dei progetti in corso di realizzazione a Milano, come ad esempio Santa Giulia o City Life, sono proprio quelle parti dell’intervento che sono volte a valorizzare il patrimonio pubblico – nel caso di Expo 2015 quindi la ristrutturazione delle Cascine – a rimanere di solito avvolte da un manto di silenzio e da una genericità progettuale che spesso conducono al loro non compimento.

Expo 2015 aree concesse al Comune di Milano per l'esposizione
Expo Milano 2015 aree concesse al Comune di Milano per l’esposizione

Alla luce di ciò invece che scegliere di rinunciare all’architettura per evitare la strumentalizzazione del proprio operato, non sarebbe più “positivo” se gli architetti mostrassero concretamente all’opinione pubblica la differenza tra il lavoro di un architetto e quello di un costruttore e la differenza tra il valore d’uso e il valore di mercato?

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21 maggio 2011