Un laboratorio della memoria

di Giulia Ricci

Binario 21, Stazione Centrale di Milano

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È nei sotterranei della Stazione Centrale che Milano conserva la memoria del dramma della Shoah. È da qui che ebrei e prigionieri politici milanesi partivano, fra il 1943 e il 1945, per “destinazione ignota”, ovvero per i campi di concentramento e di sterminio. Questo intervento immette Milano nella dolente geografia europea dell’olocausto, permettendo alla città di ricordare una storia che sempre più si allontana dalle vite e dalla memoria di chi transita ogni giorno proprio nei luoghi in cui avveniva silenziosamente l’avviamento alla morte di migliaia di persone innocenti.

Il progetto per il Memoriale della Shoah di Guido Morpurgo e Annalisa De Curtis Architetti Associati conserva le tracce fisiche di quegli atroci avvenimenti storici, a partire dalla macchina scambiatrice, utilizzata in origine per il carico e lo scarico dei vagoni postali nella parte di Stazione destinata a questa funzione, e nella prima metà degli anni quaranta messa al sinistro servizio della deportazione.

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L’intervento ha l’ambizione di rendere questo luogo un laboratorio della memoria, a dispetto della staticità alla quale la parola “memoriale” potrebbe far pensare. Esso è progettato per ricordare attraverso reperti storici, supporti multimediali e documentali, ma anche – e soprattutto – per rendere attiva la memoria, affiancando alla contemplazione la diretta esperienza. Questa dualità d’intenti si traduce in una forma architettonica eterogenea, atta all’espressione delle diverse forme del ricordo. Spogliata la struttura dall’intonaco, i progettisti hanno proceduto inserendo una serie di episodi architettonici all’interno dello spazio preesistente: talvolta trovando loro un luogo all’interno della struttura, talvolta demolendone parti per permetterne l’insediamento.

Il percorso inizia in un vestibolo d’ingresso in cui la parola “indifferenza”guida il visitatore verso una rampa che si getta a sbalzo su uno spazio a doppia altezza, protendendosi verso la biblioteca, per poi ritirarsi bruscamente conducendo il visitatore nel settore in cui si sviluppa il memoriale vero e proprio. Gli interventi si articolano nello spazio scandito dalle lunghe campate in cemento armato che costituiscono la struttura originaria dell’edificio ferroviario di Ulisse Stacchini. Qui il visitatore ha la possibilità di ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti e prendere in esame immagini storiche. Il Binario 21, fulcro del memoriale e prova tangibile dei tragici eventi, è allestito con quattro vecchie carrozze merci, dello stesso tipo di quelle che furono il mezzo di compimento della deportazione; attraverso di esse il visitatore è invitato ad accedere alla campata più interna che ospita il muro dei nomi e la linea del tempo che riporta la cronologia dei viaggi.

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Il percorso si conclude nella forma raccolta del luogo di riflessione, una struttura architettonica intrusiva ed introversa, alla quale si accede mediante una rampa che la avvolge, a sottolineare la sua indipendenza – e quasi il suo isolamento – dallo spazio nel quale è inserita. Si tratta di una sorta di “grembo” in cui si può rielaborare, sintetizzare e decomprimere i propri pensieri, e dove il cono di luce proiettato dall’alto sembra avere una funzione quasi escatologica e catartica. Infine si raggiunge l’atrio, dal quale si può uscire dalla struttura oppure accedere al piano inferiore.

Attraverso una scala incastrata nel solaio e contenuta in un cilindro in cemento armato, sospeso rispetto al piano di calpestio del piano inferiore, si ha accesso al cuore del laboratorio della memoria. Tale scala sembra suggerire espressivamente un’instabilità che accomuna questo elemento di distribuzione alla rampa aggettante incontrata all’inizio del percorso. Il piano inferiore ospita gli ambienti della biblioteca, del patio e dell’auditorium. La biblioteca, per far posto alla quale è stata rimossa una parte dello spesso solaio della Stazione, si pone in comunicazione diretta con il patio. Quest’ultimo è permeato dalla luce diretta proveniente dalle porte di accesso alla stazione postale, porte che ora sono state trasformate in aperture incorniciate da serramenti quasi impercettibili. I cancelli che le chiudevano sono aperti e fungono da elemento scenografico, producendo in tal modo una serie di inquadrature sulla città circostante: quasi un polittico all’interno del memoriale. In ciò trova espressione la tensione degli architetti nel proiettarsi verso la città, la loro volontà di appropriarsene, ma al tempo stesso di coinvolgerla nella condivisione del tremendo “segreto” contenuto nella fiancata della Stazione Centrale.

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In questo spazio si trasferisce verticalmente la vibrazione proveniente dai binari al piano superiore. Il rumore provocato dal passaggio dei treni invade gli ambienti del Memoriale portando il visitatore alla consapevolezza della vicinanza tra il luogo della realtà quotidiana e il luogo del drammatico fatto storico.

Iniziato nel 2007, il Memoriale della Shoah è un progetto fragile, come gli stessi architetti Morpurgo e De Curtis lo hanno definito. La sua costruzione è iniziata nel gennaio 2010 e dopo nemmeno un anno i lavori sono stati interrotti per mancanza di fondi. Nel gennaio 2012 l’opinione pubblica si è mobilitata, prima con una campagna di sensibilizzazione a cui Ferruccio de Bortoli ed Enrico Mentana hanno prestato il volto, poi con una maratona pubblica di letture sul tema della Shoah. Solo il 27 gennaio di quest’anno si è giunti alla cerimonia di inaugurazione, che non è però coincisa con la conclusione dei lavori.

Attendiamo quindi di poter finalmente vedere il progetto completato e accessibile alla città – una città che per troppo tempo ha ignorato questo luogo della propria storia. Nella speranza che ciò arrechi a chi visiterà il Memoriale una maggior consapevolezza di che cosa vuol dire avere la possibilità di scegliere la propria destinazione.

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Fotografie © Andrea Martiradonna